Think tank, fondazioni culturali e centri di ricerca sono la linfa della politica statunitense. Animano i palazzi di Washington e New York, pubblicano riviste specializzate di respiro internazionale, entrano nel Congresso, nel Senato e perfino alla Casa Bianca. Un sistema che ha attecchito meno in Italia, dove spesso mancano le condizioni per una sinergia fra mondo politico e queste arene di discussione, non di rado ridotte a fondazioni ad personam interne ai partiti. Così il modello statunitense può fare da road map per restituire ai think tank italiani il ruolo di policy making che spetta loro. Nella costellazione di centri di pensiero che ravvivano la politica negli States, spicca il Council of Foreign Relations, prestigioso think tank nato nel lontano 1921 per opera di un nutrito gruppo di diplomatici americani. Patrick Costello, che dirige proprio le relazioni dell’istituto con i policy maker di Washingotn, ha raccontato il caso del Cfr al Centro Studi Americani intervenendo all’evento, organizzato da Enel e Formiche, dal titolo “Think Tank e policy making, Il modello americano e l’esperienza italiana”.
“Il Cfr coinvolge Capitol Hill al livello in cui la politica prende forma, il Senior Staff” ha spiegato Costello al Csa. “Questo è il livello in cui la legislazione viene scritta, vengono presi gli accordi, si scelgono i testimoni da ascoltare e vengono fornite le indicazioni sul voto finale ai principali soggetti coinvolti”. L’idea di creare un centro di ricerca che istruisse la politica dei sommovimenti internazionali risale all’inizio del XXI secolo. Più precisamente all’indomani della I Guerra Mondiale, sotto la presidenza di Woodrow Wilson, ha aggiunto il direttore: “Dopo i difficili negoziati della Conferenza di Pace di Parigi del 1919, un gruppo di diplomatici, investitori, ufficiali e avvocati conclusero che gli Americani avessero bisogno di essere preparati meglio in virtù delle significative responsabilità e dei processi decisionali negli affari internazionali”.
Solo all’indomani della Guerra fredda però, con il venir meno della logica dei blocchi contrapposti e di una politica estera americana tarata inevitabilmente sulle mosse dei sovietici, prese il via l’istituzionalizzazione del think tank di Washington, ben presto divenuto una vera fucina di idee per la Casa Bianca e soprattutto per il Dipartimento di Stato, che ancora oggi attinge a mani piene dai rapporti degli esperti pubblicati dal Cfr.
Tra le punte di diamante del Cfr, Patrick Costello ha rivendicato con orgoglio l’antica rivista internazionale Foreign Affairs, in questi ultimi giorni al centro del dibattito politico italiano per un articolo dell’ex vice-presidente Usa Joe Biden sulle interferenze russe nelle democrazie occidentali. “I presidenti, da Kennedy a Nixon, da Roosevelt a Obama, hanno espresso la loro opinione sulle nostre pagine” ha ricordato il direttore. Su quelle stesse colonne si sono cimentati alcuni dei più grandi luminari di politica internazionale del XXI secolo, dal segretario del Tesoro Henry Morgenthau fino a Samuel Huntington, che su Foreign Affairs pubblicò la sua opera più celebre, “The clash of civilizations”, fino a George Kennan, che con un celebre articolo pubblicato dalla rivista formulò la teoria del “contenimento” dell’Unione Sovietica.
Oggi con una rete di quasi 5000 soci il Council of Foreign Relations vanta un rapporto privilegiato con le istituzioni americane. A partire dal Congresso, dove le leggi prendono forma e dunque l’attività di consulenza degli esperti è quanto mai necessaria. Così i congressmen, a prescindere dalla provenienza politica, non di rado fanno affidamento al know-how del think tank prima di presentare un emendamento o presentare una proposta di legge. Tanto più adesso, ha chiarito Costello, che i lawmakers statunitensi sono chiamati ad affrontare sfide come “il ruolo assertivo della Cina in Asia, le attività dannose della Russia in Europa, la campagna contro l’Isis e il Venezuela sull’orlo del collasso”.
La rete di relazioni del Cfr non si ferma ai banchi dei parlamentari, alcuni dei quali soci, uno su tutti il senatore repubblicano John McCain. Persino l’amministrazione di Donald Trump, un presidente che ha dimostrato di avere un approccio estremamente diretto e personale anche su delicate questioni di politica estera, ha aperto la Casa Bianca al Council of Foreign Relations, che infatti oggi annovera fra i suoi soci il potente consigliere per la Sicurezza Nazionale Herbert Raymond McMaster e la sua vice Dina Powell che ha da poco lasciato la Casa Bianca con una scelta che ha fatto molto rumore a Washington. Come si direbbe in Italia, politica e think tank sono luoghi ben distinti, ma non distanti.