A poche ore dal rilascio della nuova National Security Strategy da parte dell’amministrazione Trump, il Kissinger Institute del Wilson Center ha organizzato a Washington DC una conferenza per riflettere sugli effetti in politica estera delle nuove policy statunitensi in materia di sicurezza nazionale.
Come riportato da Formiche.net, che ha raccolto autorevoli commenti sul lavoro dell’amministrazione, per la prima volta nella storia della riflessione strategica americana, la Cina viene ufficialmente inquadrata come potenziale minaccia alla sicurezza nazionale e competitor aggressivo in grado di usare la propria forza economica per esercitare pressione e influenza sugli Usa e sui Paesi alleati.
La conferenza, intitolata “Paper Tiger/Porcelain Dragon: Sino-American Competition for Global Leadership”, ha visto la partecipazione di autorevoli relatori tra cui Robert Daly, (in foto), direttore del Kissinger Institute on China and the United States, e Yun Sun, Senior Associate dell’Henry L. Stimson Center.
Nel corso dei lavori, moderati da Sandy Pho, senior associate del Kissinger Institute, è emersa la piena consapevolezza da parte degli esperti in relazioni transpacifiche circa le sfide impegnative che l’amministrazione statunitense dovrà affrontare per gestire un rapporto estremamente complesso, nel quale l’interdipendenza economica tra i due Paesi fa da sponda al tema del confronto strategico in Asia e a livello globale. L’evoluzione dei rapporti tra Stati Uniti e Cina è stata, infatti, vista non solo nell’ottica del confronto tra due modi assai differenti di interpretare le interrelazioni economiche nell’era della globalizzazione, ma anche come uno scontro tra discordanti visioni strategiche, che pur necessitano di confrontarsi e capirsi a vicenda.
Con riferimento ad un quadro così complicato, il dialogo tra le due superpotenze è stato considerato come strumento indispensabile per superare le contrapposizioni chiaramente emerse dalla National Security Strategy. Tra i messaggi più interessanti lanciati dagli studiosi è emersa la convinzione secondo cui non solo Stati Uniti e Cina debbano dialogare ma, per quanto possibile, debbano sforzarsi di vedere il mondo con gli stessi occhi, per risolvere le distorsioni interpretative adducibili a due modelli culturali estremamente lontani. A riguardo, Robert Daly ha affermato: “One of my big takeaways from the National Security Strategy is that – it doesn’t say this, but it implies – that the United States must now adopt the Chinese model of comprehensive national power. It links security with economic interests with values and ideology – none of these things very clearly defined – but makes it clear that they are all part of this competition”.
Con la National Security Strategy, infatti, l’amministrazione americana ha voluto porre ufficialmente sullo stesso piano competizione economica e confronto geostrategico, assumendo un atteggiamento più diffidente e chiuso verso le operazioni di penetrazione commerciale da parte cinese e i tentativi di spionaggio industriale già combattuti nel corso della presidenza Obama. Rispetto all’irrigidimento dell’atteggiamento americano bisognerà capire la posizione che Pechino vorrà assumere nei consessi internazionali e nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi. Come emerso già in passato, la leadership cinese sembrerebbe decisa nel rivendicare la propria visione globale e la capacità di competere in ambito economico. Tra le due linee bisognerà trovare un momento di mediazione, esercizio che diviene più complicato nel corso dell’era Trump a causa della più marcata chiusura americana.
Sul punto Yun Sun ha dichiarato: “There is a strong sense from the Chinese side that no matter what concession or what compromise China is willing to make, it’s never enough for Trump. The Chinese cannot really determine whether Trump is really looking for a fight or he’s really looking for a deal. His tactic on China seems to suggest that he is looking for deals everywhere – on trade, on North Korea – but the strategy, as stipulated by the [National Security Strategy] yesterday, suggests that he seems to be looking for a fight”.
Ancora una volta, il sovrapporsi del livello strategico a quello economico contribuisce ad ampliare le divergenze tra i due Paesi e l’emergere della crisi nordcoreana non contribuisce ad attenuare le tensioni.
Gli inviti al dialogo rappresentano, dunque, agli occhi degli esperti del Wilson Center la sola via verso un rapporto più equilibrato e leale da parte di entrambi gli attori internazionali. Si rivela largamente confermata e condivisa l’idea secondo cui la sfida del confronto tra le due superpotenze non sia affatto facile e che ai leader dei due Paesi sia richiesto un grande sforzo di ascolto e comprensione.