La pratica, lo ricordiamo, legale ed autorizzata, perpetrata dai siti di informazione per aumentare il traffico Internet agli occhi soprattutto degli investitori pubblicitari, mette in luce uno dei più grandi problemi che attanagliano l’editoria in genere e non dà tregua neanche all’online, ovvero la difficoltà dei giornali nel trovare finanziamenti pubblicitari. La vicenda appare più emblematica soprattutto per le piccole realtà editoriali italiane che ogni giorno devono misurarsi con i grandi numeri dei maggiori quotidiani.
I dati
E se la carta stampata ormai da tempo piange per la perdita di molti inserzionisti, i numeri della pubblicità online sono in crescita ma non raggiungono i livelli che ci si sarebbe aspettati. Secondo quanto emerge dall’analisi curata da Nielsen Media Research, nel 2012 il mercato della pubblicità ha chiuso con il peggiore risultato degli ultimi 20 anni raggiungendo una performance negativa del 14,3%. Nel dettaglio i quotidiani sono crollati del 17,6%, mentre i periodici del 18,4%. Unica eccezione sembra essere Internet in crescita del 5,3%, anche se in questo settore l’ultimo scorcio del 2012 è stato molto difficile.
Lo stratagemma
Della trasparenza del traffico generato in Rete dai siti di informazione si è occupato per primo Claudio Plazzotta, giornalista di Italia Oggi ed esperto di media che ha messo in risalto la pratica degli editori per gonfiare i dati che consiste nell’aggregare sotto un macro-brand siti internet diversi tra loro e vendere di conseguenza agli investitori pubblicitari un traffico che solo in parte corrisponde a quello generato dalla loro testata.
Quando i numeri non bastano
Ma la corsa alle visite generate dai siti internet potrebbe invece essere superata da un nuovo modo di intendere l’informazione e la Rete in genere. Ne è convinto Piero Vietti, responsabile del sito Internet del quotidiano diretto da Giuliano Ferrara, Il Foglio, che in una conversazione con Formiche.net propone una soluzione per riscattare il giornalismo online: “Creare dei macrobrand è un modo per drogare i dati di un sito internet che non rende ragione della sua qualità”, premette Vietti. La proposta del coordinatore del Foglio.it consiste nell’aggiungere un criterio qualitativo rispetto a quelli considerati dagli investitori, in quanto dai dati riportati da Italia Oggi si evince chiaramente quanto sia facile taroccare quelli quantitativi: “Il solo criterio numerico per decidere gli investimenti in termini di pubblicità non basta”, dice Vietti.
Un target più mirato
“Un sito di modeste dimensioni, come ad esempio Il Foglio, dove 1500 lettori sono disposti anche a pagare, potrebbe offrire agli investitori pubblicitari un’ottima occasione per raggiungere un target fedele e riconoscibile. Senza contare – prosegue Vietti – che il pubblico dei quotidiani di piccole dimensioni è mediamente molto più attento”.
Ripensare l’intero sistema
“Potrebbe essere il grimaldello per ripensare all’intero sistema e aprire gli occhi agli investitori”, aggiunge Vietti. La pratica poi potrebbe finire per essere controproducente. Sia dal lato degli investitori, che come detto rischiano di trovarsi di fronte ad un pubblico eterogeneo che non rappresenta il target cui aveva deciso di rivolgersi, sia per gli editori, che potrebbero perdere via via i partner commerciali insoddisfatti dall’esito dei banner pubblicitari. “Un po’ quello che è successo con la carta stampata – commenta il giornalista del Foglio – Finito il tempo delle vacche grasse dei panini hanno dovuto pagare un caro prezzo”.
Ampie vedute
Una possibile via d’uscita per Vietti potrebbe essere quella di non affidarsi esclusivamente ai dati Audiweb come unico criterio in grado di decretare il successo di un sito di informazione capace di orientare a tal punto le strategie pubblicitarie.
Ma la strada è lunga e in Italia vige ancora la regola che i lettori si contano e non si pesano.