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I lati oscuri del digitale, riconoscerli per evitarli

Di Andrea Granelli
digitale

I lati oscuri del digitale sembrano dovunque: sono molto diversi (non riconducibili a semplici casistiche), nascono e si propagano in ogni dove e, soprattutto, sembrano incontenibili. Viene in mente la meravigliosa metafora visiva inventata da Walt Disney per l’episodio dell’Apprendista stregone nel suo capolavoro Fantasia: Topolino-stregone vuole lavare il pavimento comandando delle scope ma, a un certo punto, l’acqua usata per lavare incomincia a crescere in modo vorticoso e diventa sempre più incontenibile. E ciò accade anche perché le scope pulitrici – anticipazione degli attuali sistemi digitali totalmente automatizzati (Fantasia è del 1940) – sono scappate dal controllo di chi le aveva attivate.

Le cause dell’esplosione dei lati oscuri del digitale sono molte: un po’ perché la tecnologia è sempre più potente e diffusa (e quindi potenzialmente pericolosa), ma soprattutto perché se ne è parlato pochissimo. Vuoi per l’omertà dei fornitori di soluzioni digitali, vuoi per l’incompetenza velata di buonismo utopico di molti sedicenti evangelisti, vuoi per la paura di molte grandi aziende di ammettere di essere cadute in qualche trappola digitale.

Ad esempio, Uber ha recentemente ammesso che – oltre un anno fa – ha subìto il furto dei dati relativi a 50 milioni di clienti e 7 milioni di autisti e ha addirittura pagato un riscatto di 100mila dollari per avere indietro i dati. La sprovvedutezza di fronte a questi fenomeni appare ancora più chiaramente nel comunicato ufficiale di Uber, che “garantisce” che non sono stati trafugati altri dati come i numeri delle carte di credito, i numeri della sicurezza sociale o i dettagli sui viaggi effettuati dai clienti.

Per questo motivo, pubblicando la seconda edizione di un libro che affronta questi argomenti – edizione fortemente integrata a solo quattro anni dalla prima edizione – ho utilizzato un titolo molto forte, quasi inquietante e senza appello: il lato ancora più oscuro del digitale.

È necessario creare una consapevolezza matura e il più possibile esaustiva del fenomeno, punto di partenza obbligato per ogni forma di cura e prevenzione. E infatti, i nuovi (rispetto al libro precedente) lati oscuri sono: le piccole apocalissi quotidiane causate dal digital, i primi danni della criptomoneta, la presa del potere degli algoritmi, il degrado dei social media (bullismo, odio), l’affermazione della post-verità, l’escalation terroristica grazie al digitale, la mercificazione dell’intimità, la fine della privacy e la fine del lavoro.

E bisogna (ri)conoscerli per evitarli, ma il digitale è bravissimo a camuffarsi. Sembra quasi che Baudelaire pensasse al digitale quando scriveva che “l’astuzia più grande del diavolo è convincerci che non esiste”. Ma l’analisi dettagliata delle molte forme di lato oscuro del digitale non viene fatta solo per aiutare la prevenzione.

Infatti, Il lato oscuro è strutturale e non accidentale: osserva Paul Virilio “La tecnologia crea innovazione ma contemporaneamente – anche rischi e catastrofi: inventando la barca, l’uomo ha inventato il naufragio, e scoprendo il fuoco ha assunto il rischio di provocare incendi mortali”. Inoltre, Il lato oscuro aiuta ad avvicinarsi al digitale: il sentir dire che esistono i rischi, ma non avere nessuna idea della forma e modalità che possono assumere inibisce i processi educativi.

Il lato oscuro, inoltre, mette in luce cause e meccanismi profondi e meno apparenti di uno specifico fenomeno: ad esempio, i medici studiano le persone affette da specifiche patologie menomanti per capire il funzionamento normale degli organi collegati a quello malato.

Infine, il lato oscuro è il prodotto di una grande creatività che va studiata e purificata: come suggerito nella parabola dell’amministratore disonesto: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”.

È da queste conoscenze che parte il rimedio. Il messaggio può essere riassunto da una bellissima frase del poeta Hölderlin che viene dal suo poema Patmos: “Dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”. Che fare, dunque? La lezione di Adriano Olivetti – ripresa da Steve Jobs – è sempre più centrale: dobbiamo lavorare all’incrocio tra le tecnologie e le scienze umane. Solo così riusciremo a “usare bene” il digitale, altrimenti sarà lui a usare noi.

(Articolo pubblicato sulla rivista Formiche)

 



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