In queste prime settimane del 2018 non sembra arrestarsi l’escalation di attentati che aveva caratterizzato gli ultimi mesi il teatro Afghano. Questa mattina un attacco terroristico ha colpito l’ufficio di Save the Children di Jalalabad, capitale della provincia di Nangarhar, nell’Afghanistan orientale. “L’attacco terroristico in Afghanistan non fa che confermare le fragilità di un Paese che ha ancora bisogno del supporto della comunità internazionale”, ha commentato Andrea Margelletti, Presidente del Centro Studi Internazionali (CeSI) intervistato da Formiche.net.
L’ATTACCO
L’attacco è iniziato alle 9:10 ora locale, quando un kamikaze a bordo di un’auto si è fatto esplodere di fronte all’entrata dell’edificio, in cui hanno poi fatto irruzione diversi uomini armati. Delle 50 persone presenti all’interno del compound di Save the Children al momento dell’attacco, almeno una sembra essere stata uccisa mentre 12 sono i feriti. L’attacco, tutt’ora in corso con alcuni uomini ancora asserragliati all’ultimo piano dell’edificio, è stato rivendicato da ISIS attraverso la sua agenzia di stampa Amaq.
L’attentato arriva a tre giorni da un altro attacco terroristico, questa volta ad opera dei Talebani contro l’hotel Intercontinental a Kabul, la capitale del paese, in cui avevano perso la vita 22 persone, in larga parte straniere.
I PERCHÉ DELL’ ESCALATION
Secondo Margelletti l’obiettivo dei terroristi è chiaro: “Far apparire debole il governo di Kabul, mostrare un Afghanistan sotto attacco e dare la percezione di un Paese in crisi. Il problema più grande dell’Afghanistan – prosegue Margelletti – non è un problema di sicurezza, ma di governance.” In effetti, ISIS e Talebani trovano un formidabile alleato nella fragilità del governo del Presidente Ghani, indebolito da corruzione e rivalità in seno all’apparato governativo. “La sicurezza – ricorda Margelletti – può essere garantita solo quando le persone considerano il proprio governo efficace e in grado di rispondere ai bisogni della popolazione”. In questo, “rimane fondamentale la presenza occidentale nel Paese per dare tempo di creare buona governance locale”. Naturalmente, c’è chi rema nella direzione opposta. Secondo Margelletti sono “i movimenti islamisti come Daesh, Al Qaeda e Talebani che vogliono il caos nel Paese, perché è la sola opportunità per loro di aumentare il proprio potere e la propria influenza in Afghanistan.
L’Italia – sottolinea il professore – è impegnata in prima fila per fornire al governo di Kabul gli strumenti per garantire sicurezza e buona governance alla popolazione, esercitando un importantissimo ruolo di mentoring e advising nei confronti delle autorità afghane”.
UN PERCORSO ANCORA LUNGO
Secondo il professore, sarebbe sbagliato, come fanno alcuni, far risalire l’escalation di attacchi degli ultimi mesi alla nuova strategia dell’amministrazione Trump per l’Afghanistan. Piuttosto, tali attacchi vanno considerati come “fisiologici”. Perché “ci vogliono 20/30 anni prima che qualunque peace support operation possa dispiegare i suoi effetti”. Secondo il professore, “parleremo di Afghanistan anche tra due o tre presidenti dopo Trump, come stiamo continuando a parlare di Kosovo e di Serbia”. Il problema, ha aggiunto Margelletti, è che “le opinioni pubbliche occidentali sono abituate a risultati veloci, mentre la migliore strategia per l’Afghanistan oggi è la pazienza”.
Sarebbe inutile aspettarsi dei miglioramenti a breve termine per la sicurezza in Afghanistan. Un numero maggiore di truppe non cambierà la situazione perché, conclude il presidente del CeSI, “i Paesi si gestiscono non con il fucile ma con la governance”.