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Caro presidente Napolitano, ci salvi dalle follie di Bersani

Neppure l’Achille Occhetto della “gioiosa macchina da guerra” che fu sconfitto dall’outsider Berlusconi era riuscito a tanto. Pierluigi Bersani, dopo aver perso le elezioni – parlamentarmente e politicamente – pur arrivando primo, ora sta perdendo anche la partita del governo. E non è un danno che fa solo a se stesso e al suo partito. Questo suo rincorrere Grillo e i grillini come uno spasimante non ricambiato sta diventando imbarazzante fino all’umiliazione. Siccome lo si conosceva come uomo assennato, molti fanno fatica a capire il motivo di tanto dabbenaggine politica. E tra questi molti c’è anche una parte importante, e variegata, di uomini e correnti del Pd, seppure nascosta dietro l’unanimismo (falso) su cui la direzione del partito si è attestata dopo la presentazione dei suoi famosi “otto punti”. Ma che abbia perso la trebisonda o che sia accecato dalla rabbia per lo scherzetto che Grillo per un verso e Berlusconi per l’altro gli hanno riservato, ci sembra una risposta un troppo banale.

Il disegno di Bersani

Noi, invece, abbiamo provato a prenderlo sul serio e a cercare di capire quale disegno possa davvero avere in testa. E, supportati da qualche buona informazione, siamo arrivati alla conclusione che Bersani voglia andare subito alle elezioni, e con questa legge elettorale. Per capire questa scelta occorre partire dalla spiegazione che il segretario e i Bersani boys si sono dati della “mancata vittoria” del 25 febbraio: “siamo stati troppo moderati, se avessimo postato molto più a sinistra la nostra linea politica non avremmo perso voti a favore di 5stelle”, è la loro conclusione. Per questo sono convinti che se si tornasse subito alle urne, naturalmente con Bersani ancora candidato premier, basterebbe virare la barra a sinistra per vincere. E che il miglior strumento elettorale per incassare una vittoria piena sia il Porcellum. Inutile tentare di spiegar loro che se davvero le cose andassero così Grillo vincerebbe a mani basse e secondo arriverebbe Berlusconi. Si sono autoconvinti. Ma per quanto possa essere questo immaginato dai bersaniani uno scenario né probabile né condivisibile, almeno spiega il cosiddetto “piano A” senza quello “B” del segretario.

Subito al voto

Infatti, per poter essere sicuro che si vada subito al voto – cosa che, almeno nelle intenzioni di Bersani, metterebbe la sua segreteria al sicuro ed eviterebbe nuove primarie – l’uomo che smacchia i giaguari deve poter ottenere il mandato “senza condizioni” dal Capo dello Stato, formare il governo e poi andare in Parlamento. Dove, se le lusinghe ai grillini dovessero sortire qualche effetto, bene; altrimenti, senza aver ottenuto la fiducia, quello diventa l’esecutivo di ordinaria amministrazione che porta alle elezioni. Naturalmente, in quel caso la mancanza di una maggioranza parlamentare e di tempo sufficiente renderebbe inevitabile tenersi il Porcellum. Se poi ci fosse bisogno di un inquilino del Quirinale più propenso ad assecondare questo disegno – cosa che escludiamo voglia fare Napolitano – Bersani cercherebbe di guadagnare la data del 15 aprile, quando comincerà la giostra per la nomina del Presidente della Repubblica. Con l’intenzione, se non abbiamo capito male, di portarci Stefano Rodotà, uomo su cui potrebbero concentrarsi anche i voti dei grillini, per poi avere l’incarico, farsi bocciare al Senato e gestire le elezioni da Palazzo Chigi, come da programma. E ancora, se fosse necessario fare i forcaioli per provare a liberarsi del Cavaliere per via giudiziaria, e magari dare una sistemata a quelli che nel Pd sono ragionevoli (D’Alema), che problema c’è: l’onorevole Maurizio Migliavacca ha già dato prova di come si fa evocando l’arresto di Berlusconi pur non richiesto (ancora) da nessuna Procura.

Dietrologia? Fantasticherie? Magari.

Perché se fosse tutto vero, non rimarrebbe che sperare nella seguente combinazione di fattori: a) che Napolitano gli dia un incarico esplorativo, pronto a ritirarlo nel momento in cui verificasse che al Senato non ci sono i numeri; b) che successivamente conferisse l’incarico ad una personalità in grado di avere il consenso sia del Pd che del Pdl, oltre che del Centro; c) che l’esecutivo che ne dovesse nascere, anche se a tempo (molto) determinato sappia proporre, tra le altre cose, una legge elettorale di stampo europeo su cui convergesse la maggioranza del Parlamento; d) che Berlusconi recuperi la lucidità mostrata subito dopo le elezioni, e subito persa con la stolta idea della manifestazione sulla scalinata del tribunale di Milano, e concorra a supportare il disegno di governabilità portato avanti dal Quirinale; e) che a Napolitano fosse chiesto di accettare un rinnovo di mandato e che il Presidente accettasse, seppure indicando fin da subito l’intenzione di stare solo fino a quando fosse necessario e le forze lo sorreggessero.

Difficile? Sì, ma molto più serio e utile al Paese del “percorso A”.

E se questo “percorso B”, o “N” da Napolitano, dovesse procurare una spaccatura o addirittura una scissione del Pd, pazienza. Anche perché è lecito pensare (e sperare) che egualmente avverrebbe in caso passasse la linea Bersani. E perché ormai, con la fine della Seconda Repubblica per mano di Grillo, i partiti che ne sono stati protagonisti si devono rassegnare al contrappasso. In caso contrario, per l’Italia si aprirebbe un baratro in cui rischia di cadere, e con essa l’euro. Uno scenario argentino, direbbe Papa Francesco. Dio non voglia.



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