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Il crollo di Wall Street, i rischi per l’Ue (e Trump). Parla Paolo Savona

trump Kavanaugh muro

Che cosa sta succedendo agli Stati Uniti? Il crollo di ieri a Wall Street è un brutto segnale per Donald Trump o solo un raffreddore passeggero? Domande direttamente girate a un economista del calibro di Paolo Savona che le “cose americane” le conosce bene.

Professore, ieri Wall Street ha vissuto ore drammatiche. Di chi è figlio il crollo?

Il crollo di ieri è figlio di padre ignoto, con diversi sospetti di paternità: il primo riguarda il ritorno alla ‘normalità’ (così è stato ufficialmente definito) della politica monetaria americana dopo il Quantitative Easing; il secondo l’esuberanza irrazionale (definizione di Alan Greenspan, ex presidente della Federal Reserve) in materia di corsi azionari; il terzo le incertezze sugli effetti interni delle politiche di Trump e sulle reazioni dell’estero alle sue posizioni internazionali di denuncia degli accordi già raggiunti. Potrei continuare, ma il peso di queste tre condizioni basta e avanza per spiegare la caduta dei valori azionari, peraltro attesa”.

E Trump? Dovrebbe preoccuparsi?

Il problema è se la caduta è un rally tradizionale deciso da chi realizza i benefici conseguiti o una crisi vera e propria di borsa o un cambiamento di attitudine degli operatori preludio di gravi conseguenze. Da come andranno le cose sapremo se Trump gode della fiducia dei gruppi economici dominanti o solo di una maggioranza di uomini della strada preoccupati del loro benessere e dell’emigrazione. Per ora sappiamo che sta portando dalla sua i militari, una tendenza preoccupante che il Papa ha già sottolineato.

Attraversiamo l’Atlantico. Ci sono rischi per un’Europa ancora troppo fragile?

La gran parte dei rischi provengono da come si comporterà il rapporto di cambio dollaro/euro, la cui svalutazione agisce contro le esportazioni, un settore trainante lo sviluppo europeo. Noi sappiamo che per gli americani ‘il dollaro è la loro valuta, ma un nostro problema’ (affermazione ripetuta più volte dai loro ministri del Tesoro), ossia non si oppongono alle svalutazioni, pur affermando, come ha fatto Trump a Davos, che la sua amministrazione vuole un dollaro forte, quindi non svalutato. L’idea di Trump è di ridurre il deficit delle partite correnti della loro bilancia estera, che comporterebbe una rivalutazione del dollaro. I dazi decisi recentemente dovrebbero consentirlo, ma gli americani sono grossi consumatori di beni importati (soprattutto dalla Cina e dall’Europa) e se cresce il reddito, come sta crescendo, il passivo dovrebbe aumentare.

Ma l’Ue può in qualche modo “attrezzarsi”?

La politica americana di più elevati tassi, più bassa offerta di base monetaria e minori importazioni dovrebbero agire positivamente sul cambio dollaro/euro, ma sarà il mercato a deciderlo, potendo disporre di quantità enormi di dollari liquidi. Il problema nasce dal lato europeo, perché la BCE non ha poteri di intervento per contrastare eventuali svalutazioni speculative acquistando dollari sul mercato. Questo è uno dei tanti problemi irrisolti dei Trattati europei.

Trump è ancora tutto da decifrare, ma Wall Street è ancora il motore finanziario mondiale comunque…oppure no?

Vale il detto che ‘se gli Stati Uniti starnutano, l’Europea prende il raffreddore’, anche se la posizione su questa sponda dell’Atlantico è criticare Trump e ritenere che l’altra sponda non conti più come in passato. Forse è valido sul piano politico, ma su quello economico siamo ancora lontani da un mutamento di equilibri.

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