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Le novità dei metalmeccanici italiani non sono da meno di quelle dei cugini tedeschi

Ci sono due notizie importanti che giungono dalla Germania. La prima è di natura squisitamente politica e riguarda l’intesa per il nuovo governo di Angela Merkel. I due principali partiti tedeschi, Cdu e Spd, hanno raggiunto l’accordo definitivo per governare insieme. E, tra le altre cose, hanno deciso di spendere ben 46 miliardi di euro nei prossimi 4 anni in investimenti pubblici a favore della formazione, della digitalizzazione, del risanamento ambientale, nella riforma dell’imposizione fiscale, nello sviluppo industriale.

Ma la seconda novità, che non è da meno, è rappresentata dall’accordo pilota determinato nei giorni scorsi dai metalmeccanici tedeschi in Baden-Wuerttenberg, un “land” nei pressi di Stoccarda che prevede un aumento salariale del 4,3% e la settimana da 28 ore. L’intesa in questione riguarda solo 900mila dipendenti del settore metallurgico ed elettrico, ma potrebbe essere estesa dall’Ig Metall a tutti gli addetti del settore del Paese che sono quasi 4 milioni. La prima considerazione è che il contratto dei metalmeccanici italiani, siglato a fine novembre del 2016, a parte numeri e contesto economico diversi, al confronto dell’esperienza teutonica risalta come un risultato titanico.

A parte il gioco di parole, il nostro rinnovo contrattuale ha confermato una struttura portante basata su salario, previdenza integrativa, sanità integrativa, formazione e diritto allo studio. Si tratta di temi che le parti stanno gestendo unitariamente e continueranno a farlo per tutta la vigenza contrattuale. Anche in Italia i metalmeccanici hanno dato un contributo fondamentale alla relazioni industriali del Paese e alla politica contrattuale che le caratterizza. Lo hanno fatto anche per quanto riguarda la parte che ora può costituire un terreno comune di confronto con i cugini dell’Ig Metal. Infatti, l’epilogo contrattuale che abbiamo realizzato afferma il valore della partecipazione dei lavoratori e del sindacato nelle scelte strategiche aziendali, attraverso il Comitato consultivo di partecipazione in tutte le grandi aziende, e mediante il rafforzamento della contrattazione di secondo livello, determinante ad aumentare la produttività e valorizzare il contributo dei lavoratori in molteplici scelte.

Tra queste ed in ambito aziendale esistono gli spazi per considerare quella flessibilità contrattuale introdotta dai lavoratori del Baden-Wuerttenberg. Val la pena di ricordare i punti salienti dell’intesa contrattuale dei lavoratori tedeschi. Oltre all’aumento salariale, l’accordo prevede il diritto di chiedere la riduzione dell’orario lavorativo a 28 ore, per un periodo di tempo che vada da un minimo di 6 mesi a un massimo di 24. Successivamente il dipendente ritorna alla settimana di 35 ore. I lavoratori dipendenti che ridurranno l’orario di lavoro, e conseguentemente vedranno tagliate le buste paga, potranno avere un ulteriore “bonus” temporale di 8 giorni di ferie.

La riduzione dell’orario di lavoro è proprio uno dei punti presenti nelle tesi della nostra Confederazione sindacale che svolgerà il Congresso nazionale a Roma dal 21 al 23 giugno di quest’anno. Per la Uil e per la Uilm sono possibili modelli simili a quello tedesco in specifiche realtà produttive, in cui la riduzione dell’orario di lavoro sia circoscritta ad un settore determinato ed a un’azienda in cui la scelta risulti utile e condivisa. Ecco perché una scelta di questo tipo presuppone il rafforzamento della contrattazione aziendale, affinchè il sindacato possa esercitare un ruolo responsabile nelle realtà dove tuttora non è presente e dove esistono potenzialità concrete della sinergia tra capitale e lavoro. Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici italiani, nel suo epilogo, ha risposto a questa logica. La nostra forza è stata quella di aver mantenuto l’efficacia del primo livello contrattuale e di aver messo l’emancipazione del secondo livello sui giusti binari.

Qualche addetto ai lavori ha avuto modo di obiettare che il problema italiano, rispetto alla realizzazione di questa prospettiva, è caratterizzato da un diffuso nanismo industriale.

C’è del vero in questa affermazione, ma non volendo fare facili ironie in questo Paese tira una strana aria che allo stato attuale rende difficile assicurare un futuro anche a veri e propri giganti industriali che hanno reso l’Italia competitiva nel mondo. Il caso dell’Ilva è emblematico: c’è un investitore straniero, serio e competente, che vuole rilevare il gruppo siderurgico più importante in ambito nazionale, ma si registrano ritrosie, opposizioni, addirittura ricorsi legali da più parti. Ecco, dai tedeschi dovremmo imparare anche come si tutela la manifattura nazionale e la siderurgia che ne è il cuore pulsante. Se smettiano di produrre buon acciaio, in Europa oltre il Reno se ne faranno una ragione, ma per noi inizieranno i problemi veri. Questa è la realtà in cui siamo impegnati a confrontarci ora, nonostante l’interesse destato dalla settimana corta dei metalmeccanici tedeschi che riteniamo meritevole di tutto il nostro interesse.



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