L’associazionismo cattolico impegnato sul tema delle migrazioni presenta alla politica un blocco di richieste per definire una nuova agenda sul tema migratorio. Varo dello ius soli, concessione del diritto di voto alle amministrative a tutti i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo, nuovo quadro giuridico per consentire l’ingresso in Italia, unificazione di tutto il sistema dell’accoglienza nella rete SPRAR che coordina gli enti locali, il ministero dell’interno e la società civile, abolizione del reato di clandestinità, valorizzazione delle buone pratiche come la partecipazione dei migranti e dei rifugiati al servizio civile.
Sono questi i titoli delle principali proposte su cui Acli, scalabriniani, associazione Giovanni XXIII, Azione Cattolica, Centro Astalli, Centro missionario francescano, Comboniani, Sant’Egidio, Isitituti missionari, la Casa della carità, Cnca, Movimento dei Focolari, Istituto Sturzo e Paxchristi chiedono alla politica di confrontarsi per uscire dalla logica dell’emergenza.
L’obiettivo del mondo cattolico è quello di cambiare registro, chiudere le porte al malaffare nel sistema dell’accoglienza e quindi chiudere una giungla di sigle che non hanno avuto successo, come i CARA o i CAS, e così valorizzare tramite il potenziamento della sola forma di accoglienza che ha avuto successo in 1000 comuni l’inclusione sociale e la solidarietà rendendo la rete SPRAR, che unisce Stato,Comuni e società civile l’unico sistema di accoglienza vigente nel paese.
La proposta di concessione dello diritto di voto alle amministrative, sia attivo sia passivo, è basata sul fatto che chi paga le tasse deve sentirsi coinvolto nella gestione della cosa pubblica, e i migranti titolari di permesso di lavoro a lungo termine non si capisce perché debbano essere esclusi. Inserirli maggiormente nella realtà italiana è una delle buone pratiche meno citate, visto che già alcuni migranti e rifugiati fanno il servizio civile per aiutare il Paese che li ha accolti. Diffondere questa pratica aiuterebbe sia loro a sentirsi accolti sia la popolazione italiana a sentirli come degli amici e non dei nemici.
Quanto alla legge che dovrebbe dare la cittadinanza ai 900mila figli di migranti nati in Italia e presenti sul nostro territorio, si è affermato che costoro non possono non essere considerati italiani, cioè cittadini del Paese dove sono nati e dove risiedono, dove studiano.
Molto importante anche la proposta, illustrata dalla Comunità di Sant’Egidio, di prendere atto che in Italia servono vie legali d’accesso praticabili e funzionali, sia al Paese che al migrante. Per ottenere un visto per motivi di lavoro oggi occorre dimostrare la disponibilità di 500mila euro, una norma capestro che non incentiva certo l’arrivo di manodopera qualificata, ma raramente così agiata. L’esempio dei corridoi umanitari ha dimostrato invece che l’integrazione è possibile con flussi ordinati, aperti agli asilanti, un sistema che potrebbe espandersi attivando il meccanismo della sponsorizzazione, cioè della chiamata nominale, da parte di singoli o di gruppi che possano accogliere. L’impressione è che l’accoglienza non deve essere percepita o presentata come una scelta di assistenzialismo senza sviluppi, ma una tappa nello sviluppo culturale e lavorativo.
In Italia, non tutti lo sanno, esistono 23 tipi di permessi di soggiorno, ma quello per chi abbia un comprovato percorso di integrazione non c’è. Questo non incentiva certo l’integrazione, anzi la scoraggia. E anche questa è una lacuna evidente da colmare.
Per uscire dalla percezione dell’immigrazione come emergenza, rischio, pericolo, serve anche cambiare la narrazione, valorizzando le buone pratiche, di integrazione e di accoglienza.
La crisi secondo questa ampia rete di organizzazioni cattoliche mette in luce una profonda crisi dei valori sui quali l’Unione sarebbe fondata. Uscire dalla narrazione “noi-loro”, valorizzare la buona accoglienza, tutto questo aiuterà anziché ostacolare la coesione sociale.
Lo sforzo evidente di evitare di confrontarsi con i temi posti dalla drammatica attualità di questi giorni ci dice che questa agenda prospetta una risposta razionale, non solo evangelica, a un problema divenuto centrale. La decisione di illustrare questi punti qualificanti di un’agenda nazionale durante la campagna elettorale è una risposta forte e di indubbio valore culturale.