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Quella cordiale distanza diplomatica fra Washington e Pechino

Il segretario di Stato americano, Rex Tillerson, ha ospitato a Foggy Bottom (warmly, caldamente, come ha detto lui) uno dei massimi esponenti della diplomazia cinese, Yang Jiechi, che è a Washington per una serie di incontri. Pechino ci tiene a mettere le carte in chiaro sulle questioni economico-commerciali: in una dichiarazione sul programma del viaggio del notabile del politburo, il ministero degli Esteri di Pechino ha sottolineato come le relazioni tra i due Paesi fossero importanti e come il business reciproco fosse per entrambi vantaggioso.

Parole di rito intrise di posture politiche, necessarie sottolineature specie dopo il primo annuncio sui dazi che colpiranno l’importazione di celle fotovoltaiche negli Stati Uniti (bene di cui la Cina è uno dei principali produttori al mondo e vicenda su cui i Pechino ha risposto col tit-for-tat avviando un’indagine antidumping sulle importazioni di sorgo americano). Tutto mentre le voci sul prossimo terreno di scontro, l’acciaio e l’alluminio, si fanno più concrete; e soprattutto mentre le indagini della cosiddetta “Section 301”, lanciata ad agosto scorso dal rappresentante americano per il Commercio, il falco anti Cina Robert Lighthizer, stanno per arrivare alle conclusioni sul furto di proprietà intellettuale americana compiuto dai cinesi.

Gli americani (tra le minacce e i moniti) vorrebbero strappare l’impegno di Pechino su questioni correnti, come la pressione sulla Corea del Nord atomica, in modo da creare un terreno comune, una sorta di base di fiducia, per affrontare insieme altri argomento – tra cui, in testa, ovviamente, quella dello sbilancio commerciale, cresciuto come mai negli ultimi nove anni nonostante i proclami del presidente Donald Trump.

Nello statement ufficiale dopo l’incontro, il dipartimento fa sapere che Tillerson e Yang hanno parlato di Pyongyang e anche di come rendere effettivamente reciproco il rapporto tra le due più grandi economie del mondo, “affrontando le nostre differenze con franchezza”.

Sulle differenze di visioni e distanze il dossier nordcoreano è piuttosto esplicativo: Yang ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero lavorare affinché l’avvicinamento tra Pyongyang e Seul non resti contingentato alla sfera olimpica, mentre la portavoce del dipartimento di Stato ha sottolineato che Pechino dovrebbe seguire meglio le risoluzioni sanzionatorie del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (votata anche dalla Cina) e soprattuto acconsentire a misure ancora più drastiche (che invece la Cina rifiuta perché non vuole rischiare di creare condizioni caotiche in Corea del Nord).

Negli ultimi giorni Tillerson è stato attaccato dal quotidiano del Partito comunista cinese (che esce in lingua inglese) Global Times, che ha pubblicato un editoriale contro il segretario americano. Questo genere di articoli ha l’imprimatur governativo e sono piuttosto importanti perché rappresentano né più né meno la linea politica cinese. Il GT ha scritto che Tillerson ha dimostrato il “disprezzo” americano quando la scorsa settimana ha parlato delle attività della Cina in Sudamerica, paragonando Pechino a una potenza imperiale di cui “non c’è bisogno“, un “potenziale predatore” che esercita la sua influenza economica per veicolare pressioni politiche nella regione.

“La Cina sta semplicemente facendo affari con l’America Latina e tutti i legami commerciali sono basati sul libero arbitrio dei Paesi e sul mutuo vantaggio”, ha scritto il GT, mentre il China Daily (media statale pure questo) ha rincarato la dose scrivendo che esiste “un gap di percezione” tra Stati Uniti e Cina, perché l’attuale amministrazione statunitense crede di vivere, in una continua “paranoia”, durante la Guerra Fredda, “anche se il resto del mondo è andato avanti e vive nel 2018”.

Pechino è almeno quindici anni che ha interesse all’economia dell’America del Sud, ma questa attenzione ha preso un ruolo più marcatamente geopolitico dall’insediamento di Xi Jinping nel 2012. A gennaio, per esempio, i cinesi avevano invitato i Paesi sudamericani a prendere parte all’enorme progetto geopolitico Obor (One Belt One Road), con cui il presidente Xi vuole creare un sistema di relazioni – commerciali ed economiche, ma anche politiche, diplomatiche, militari – a cavallo dell’Eurasia e aprire a futuri allargamenti transoceanici. La Cina ha anche una presenza militare di basso profilo in Sudamerica, come dimostra un report dello Strategic Study Institute, che dalle relazioni militare-militare è passata al livello di contatti con le istituzioni locali.

 

 

 



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