A due anni dalla Rivoluzione dei Gelsomini tunisini l’Europa si desta dal torpore e stanzia 500mila euro per un progetto per la prevenzione della violenza contro le donne. Dovrebbe essere solo l’inizio, osserva la scrittrice Ilaria Guidantoni, da pochi giorni rientrata da Tunisi e autrice di due pamphlet “Tunisi, taxi di sola andata” (No Reply, 2012) e “Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia” (Albeggi edizioni, 2013).
Un nuovo inizio per il paese dopo i bagliori della rivoluzione dei Gelsomini di due anni fa?
“Certamente perché, come di recente ha detto l’Ambasciatore tunisino a Roma Naceur Mestiri, ci vorrebbe proprio un piano Marshall per la Tunisia considerato che democrazia e povertà difficilmente vanno a braccetto. In questo caso l’aspetto interessante è che si investe nei diritti umani con un sostegno economico, offrendo una doppia opportunità quella del lavoro e quella di un cammino verso una società democratica. Tra l’altro le donne sono in questo momento la parte debole per eccellenza: vittime, insieme ai giovani della piaga della disoccupazione; e principali bersagli della messa in discussione di alcuni diritti fondamentali”.
Come realizzare stimoli in chiave socioculturale?
“Sul fronte femminile la priorità è sostenere l’azione che la società tunisina sta già portando avanti con progetti e azioni che uniscono la dimensione sociale e culturale a quella della battaglia civile. Una generazione è cresciuta senza stimoli culturali e senza l’alfabetizzazione alla dialettica e alla responsabilità. Sostenere le donne significa sostenere la loro opera di semina e diffusione di informazione. Lo scorso 12 marzo l’artista del vetro, designer e femminista, Sadika KèsKès, ha lanciato con questo spirito l’Unione dei Giovani Tunisini Democratici, promuovendo l’idea di democrazia partecipativa”.
Il 14 marzo in centinaia hanno partecipato ai funerali di Adel Khadiri, il giovane venditore ambulante immolato a Tunisi. La rabbia torna a esplodere?
“Nell’estate del 2011, a pochi mesi dalla rivolta dei gelsomini, mi disse che per fortuna i tunisini non sono portatori d’odio. Le donne, in particolare, invitano costantemente alla calma alla ragionevolezza come ha dimostrato il corteo per i funerali dell’oppositore Choukri Belaid (smettiamola però di dire che era il capo dell’opposizione: il suo partito contava su un deputato solo su 217). Questo non vuol dire rinuncia. In quell’occasione le donne hanno sfidato un divieto coranico: seguire il corteo funebre e assistere all’interramento. L’augurio è quindi che la fermezza senza violenza prevalga”.
La giovanissima deputata del Partito EnnahDa, Imen Ben Mohamed, dice che il popolo non chiede sangue, ma giustizia. Quando finirà questa transizione?
“Imen interpreta bene l’ala riformista del partito che purtroppo non sembra prevalere. Nessuno sa i tempi della transizione ma certamente occorrerà almeno una legislatura di governo regolare. Quello attuale, frutto tra l’altro di un rimpasto, è ancora transitorio. Purtroppo senza nuova Costituzione niente elezioni”.
Dalle donne sono partite la primavere arabe, dalle donne può ripartire un impegno per i diritti: quali gli scogli ancora presenti?
“Il vero problema che ho riscontrato parlando nel mio ultimo viaggio a Tunisi – che tra l’altro è caduto in concomitanza con la Giornata Internazionale della Donna, l’8 marzo – è che oggi le donne si trovano a dover difendere dei diritti che sembrano acquisiti una volta per tutte sia a livello di Islam sia in termini di diritto di Stato tunisino. Tecnicamente il problema restano le cosiddette “tre riserve”: pari opportunità alla vita politica, tenendo conto oltre tutto che il 60% dei laureati tunisini è donna; la patria potestà condivisa essenziale in un paese dove il divorzio è relativamente diffuso; e la legittima sull’eredità. Purtroppo influenze della “salafiah” e dello wahhabismo ripropongono questioni che sembravano archiviate per sempre. Una per tutte il velo alle bambine che è apparso in alcuni asili di Tunisi e non solo in quartieri popolari. Velare una donna vuol dire dichiararla pronta sessualmente e questo può legittimare matrimoni con minori”.
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