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Vi spiego come e perché lo Stato alla fine entrerà nella rete di Tim. Parla Maurizio Matteo Dècina

Amos Genish

Lo Stato nella rete Tim nel nome del progresso. Possibile, anzi probabile ma non sarà una passeggiata e la stessa ex Telecom nega l’opzione. Ne è convinto Maurizio Matteo Dècina, economista e gran conoscitore delle vicende dell’ex Telecom, autore del saggio Goodbye Telecom (prefazione del presidente Agcom, Angelo Cardani). Tutto muove da un dato. È davvero difficile che Tim, nello stato in cui versa, riesca a caricarsi sulle spalle l’intera società della rete (qui la precedente analisi di Formiche.net). Lo Stato, a mezzo Cassa Depositi e Prestiti, vorrà fare la sua parte e condividere con l’ex monopolista, ora francese, oneri e onori dello scorporo.

LO STATO NELLA RETE (DI TIM)

La domanda che un po’ tutti gli osservatori si pongono in questi giorni è: una volta che il ceo del gruppo telefonico, Amos Genish (nella foto) avrà portato a termine il suo progetto, che cosa farà lo Stato, rappresentato da Open-Fiber (50% Cdp-50% Enel)? “Il disegno di Cdp”, spiega Dècina a Formiche.net, “dovrebbe essere quello di un graduale controllo della rete a tappe, per creare una rete efficiente e sinergica a vantaggio del Paese. In questo scenario ci sarebbe una più veloce migrazione da rame a fibra e il controllo su di un asset strategico militare, mai così importante come in questo momento di conflitti”.

IL PROBLEMA DELLA VALUTAZIONE

Il problema però è che non si dovrebbe pensare “di valutare l’olio di semi al prezzo dell’olio di oliva (valutazione rete a 15 miliardi, molto alta) tagliando pure i lavoratori del frantoio”, spiega metaforicamente Dècina. “A quelle cifre si arriverebbe con tassi di sconto ombra a protezione degli interessi della collettività, e sarebbe anche giusto così. Il semplicistico e superficiale metodo dei multipli ha poco significato per un asset in rame in evoluzione che necessità di alti investimenti. Si potrebbe ad esempio essere d’accordo a dare un valore alto a patto che si mantengano tutti i posti di lavoro”.

TEMPI MATURI 

D’altronde, i tempi sono maturi, come più volte sostenuto anche dallo stesso ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, reduce dall’accordo preliminare con Tim (il 6 marzo si pronuncerà il cda) sullo scorporo. “Dopo 20 anni di privatizzazione superficiale con alcune gestioni a monte  non entusiasmanti, è arrivato finalmente il momento di una vera e propria public company ad azionariato diffuso. I bilanci di Telecom parlano da soli, non c’è neanche bisogno di commentare. E poi nel breve e medio periodo la rete in rame si svaluta, i debiti continuano a pesare. Prevedo una cessione di una quota consistente della società della rete a Cdp, a prezzi logici che includano valutazioni di carattere sociale come il mantenimento dei posti di lavoro,  intorno al 20-30% per poi arrivare al 51%. Ma nel caso,  tutto potrebbe essere lento e graduale. Del resto ieri i vertici di Telecom incontrando i sindacati, hanno detto che la rete resterà al 100% senza alcuna ipotesi di fusione, e che i debiti rimarranno in capo all’azienda”.

L’OSTACOLO DEI DEBITI

Ricapitolando, secondo Dècina Tim da sola non ce la può fare e il motivo è presto svelato. I debiti. Che da un lato rendono necessario l’intervento di un partner, dall’altro rappresentano un’incognita sull’intera operazione.  “Do qualche numero. Oggi Telecom ha 32 miliardi di debiti lordi e 25 miliardi di debiti netti”, chiarisce Dècina. “Nel caso si attribuissero sulla rete la metà dei debiti netti, ad esempio 12, il rapporto debito/fatturato della rete sarebbe del 300% poiché il fatturato della rete scorporata sarebbe di circa 4 miliardi. Considerando invece 8 miliardi di debiti sulla rete, il rapporto sarebbe comunque del 200%, con ancora 17 miliardi di debiti netti sulla Telecom retail che rimarrebbe però senza un asset fondamentale”.

GOLDEN POWER-BIS?

Altra questione, forse più politica ma non per questo meno importante da un punto di vista industriale. Il golden power, che l’esecutivo ha già esercitato su Tim a ottobre e impugnato dalla stessa controllata Vivendi, potrebbe ricomparire nel caso della rete. E allora? Come la prenderebbero in francesi?  “Tim è obbligata a farlo, se vuole andare avanti. Basterebbe però una rappresentanza di dipendenti azionisti negli organi direzionali, anche estratta a sorte tra i dipendenti, per migliorare la gestione e la governance”.

 


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