La sconfitta militare dell’Isis non diminuisce il rischio attentati in Europa e in Italia per la persistenza di una propria struttura organizzativa, per il ruolo qualche volta dimenticato di al Qaida e anche per la presenza sul territorio nazionale “di soggetti radicalizzati o comunque esposti a processi di radicalizzazione”. È la sintesi dell’analisi che la Relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza elaborata dal Dis dedica al tema del terrorismo internazionale.
LA COMPETIZIONE TRA ISIS E AL QAIDA
Entrambe le organizzazioni restano molto pericolose. Il Califfato mantiene in Europa cellule addestrate che potrebbero organizzare nuovi attentati anche se sul territorio siro-iracheno la sua influenza si è drasticamente ridotta. La reazione alle sconfitte consiste nel minimizzare, “enfatizzando la rilevanza del jihad individuale” e insistendo sulla possibilità di organizzare attentati con strumenti di uso comune: armi da taglio e da fuoco, veicoli, sostanze nocive per contaminare cibo o acqua. Le difficoltà sono dimostrate anche dalla drastica riduzione della propaganda mediatica, che aveva caratterizzato gli inizi dell’Isis, mentre aumenta l’uso di piattaforme criptate per fare proselitismo e raccogliere fondi.
Mentre l’Isis punta a difendere le posizioni occupate, la relazione del Dis sottolinea che al Qaida persiste nella sua politica di lungo periodo che “punta sull’infiltrazione e sul consenso delle popolazioni locali” nelle aree in cui opera. In alcune zone, inoltre, gruppi di jihadisti che avevano scelto al Baghdadi sarebbero tornati con al Qaida. La competizione su chi deve rappresentare il jihad potrebbe manifestarsi anche con attentati eclatanti. Dal punto di vista territoriale, mentre le truppe dell’Isis si sono rischierate nella Valle del Medio Eufrate e sul confine siro-iracheno puntando a tattiche di guerriglia, al Qaida mantiene diverse ramificazioni: nel Maghreb con al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi), nel Sahel, nella Penisola arabica (Aqpa), nel Corno d’Africa e in Siria, restando “un attore transnazionale vitale e determinato”.
PER L’ITALIA IL RISCHIO DI SOGGETTI RADICALIZZATI
L’anno scorso l’Europa è stata colpita da iniziative individuali per mano di soggetti che l’intelligence definisce “self starters”, azioni che uniscono imprevedibilità ed economicità. Il rischio persiste soprattutto per la presenza di soggetti radicalizzati mentre continua il monitoraggio dei foreign fighters che potrebbero tornare dai teatri di guerra. Nonostante la maggior parte di essi sembra essersi ridispiegata in altri teatri, come alcuni tunisini fermatisi in Libia, non si esclude un “effetto blowback”, cioè che tornino in azione nei paesi di provenienza. La minaccia è tanto maggiore quanto più lunga è stata l’esperienza in Siria e Iraq e va ricordato il pericolo della rotta balcanica, un’area da tempo considerata dall’intelligence un hub per il reclutamento. I foreign fighter in qualche modo collegati all’Italia sono 129: come Formiche.net scrisse in gennaio, almeno 42 sono morti e nella quasi totalità si tratta di soggetti trasferitisi verso i campi di battaglia negli anni scorsi. Nel 2017 c’è stato il primo caso di un “ritorno”: una giovane donna convertita che nel 2014 era andata in Siria con il marito, poi morto in battaglia. “Più in generale – è scritto nella relazione – permane alto il livello della minaccia diffusa e puntiforme e per ciò stesso tanto più imprevedibile”. Il riferimento è “al pericolo rappresentato dagli estremisti homegrown, mossi da motivazioni e spinte autonome o pilotati da ‘registi del terrore’”.
UNA MINACCIA “ATTUALE E CONCRETA”
Due esempi dimostrano quanto incida la propaganda jihadista: l’italo-marocchino responsabile degli attentati di Londra del 3 giugno, che qualche volta veniva in Italia dove vive sua madre, e l’italo-tunisino che il 18 maggio aggredì armato un poliziotto alla stazione centrale di Milano. Giovani, naturalizzati, con difficili situazioni familiari: caratteristiche simili per entrambi. Le indagini hanno confermato che la realtà radicalizzata in Italia “è etnicamente e geograficamente trasversale” e si alimenta in ambito familiare, grazie a imam estremisti o in carcere. Le espulsioni restano un mezzo molto efficace: l’anno scorso sono state 105, di cui 34 tunisini e 32 marocchini (quest’anno se ne sono già aggiunte 20 per un totale di 257 dal gennaio 2015). Fondamentale, dunque, resta la prevenzione: “La sfida principale – è scritto nella relazione – è allora quella di intercettare processi di radicalizzazione individuali prima che suggestioni attinte dal web e altre forme di influenza o di etero-direzione possano agire da innesco per il passaggio a opzioni offensive”.
L’Italia, del resto, è da sempre al centro della propaganda jihadista: sul web sono frequenti messaggi letti o sottotitolati in italiano così come persistono “islamonauti italofoni” e italiani radicalizzati e impegnati nel proselitismo o con contatti all’estero. Diventa perciò fondamentale la collaborazione dei giganti del web, così come fu definito al G7 di Ischia dello scorso ottobre, per contrastare l’uso di Internet da parte delle organizzazioni terroristiche. Molto diversi, inoltre, i metodi di finanziamento: si va dalle donazioni private alla requisizione di beni nelle aree controllate, da transazioni fatte da società che forniscono servizi non tracciabili a servizi digitali di nuova generazione per mezzo di sim card abilitate al trasferimento di denaro.
GLI ANARCHICI E LA DESTRA RADICALE
L’attività anarco-insurrezionalista ha provato a rilanciarsi l’anno scorso dopo un’operazione di polizia giudiziaria del settembre 2016. La cellula Santiago Maldonado (dal nome di un attivista argentino), comparsa per la prima volta, ha rivendicato l’ordigno fatto esplodere davanti a una stazione dei Carabinieri di Roma nello scorso dicembre. Mentre cercano sinergie con analoghi gruppi stranieri, gli anarchici hanno continuato a contestare le politiche migratorie; gli antagonisti, invece, sembrano procedere in ordine sparso. Preoccupa di più la destra radicale che sta raccogliendo adepti tra i giovani diffondendo un nazionalismo pari all’insofferenza verso gli immigrati. Si tenta di emulare circuiti esteri e crescono quindi azioni xenofobe soprattutto dove l’immigrazione si scontra con il disagio sociale. Probabilmente la relazione era chiusa da settimane, ma è inevitabile ripensare a quanto accaduto a Macerata.