Nelle prossime settimane un altro alto notabile del Partito comunista cinese è atteso a Washington: si tratta di Liu He, stretto confidente del presidente Xi Jinping, probabilmente a breve tra i quattro vice premier, dopo l’ultimo congresso membro dei 25 del politburo, economista con studi a Harvard e (secondo Reuters) anche candidato emergente per la guida della Bank of China.
La visita segue quella di Yang Jiechi, uno dei papaveri della diplomazia di Pechino, che a inizio febbraio è stato ospitato dal dipartimento di Stato americano per incontri di alto livello – prossimamente nella capitale americana arriverà invece colui che, con il riassetto di governo che sta seguendo il XIX Congresso del Partito, è destinato a diventare l’uomo che ha in mano le chiavi dell’economia cinese, essendo già advisor della presidenza in materia di economic-policy, prendendo un’ulteriore delega speciale come vice-premier e magari guidando la banca sovrana.
Il tour di contatti di Jiechi non è stato considerato un successo da entrambi i lati, e così è stato ritenuto necessario da Pechino inviare un secondo uomo di primo piano per parlare con gli alti funzionari dell’amministrazione americana. Presenze di così alto livello nel giro di poche settimane non sono usuali. Questo genere di contatti hanno un obiettivo per la Cina: cercare di lavorare nell’ottica di mantenere in piedi i rapporti, per quanto possibile, anche al minimo, in una fase in cui gli Stati Uniti stanno generalmente cambiando visione sul dossier-cinese, e sul contenimento come super-potenza globale.
Fondamentalmente la Cina vuol provare a ricostruire il Comprehensive Economic Dialogue, dopo che lo scorso anno, in mezzo alle tensioni commerciali, i dialoghi sono stati sospesi. Il fatto è che in questo momento le posizioni hanno raggiunto un successivo livello di acredine, perché se un anno fa i provvedimenti da commercial-war erano solo una minaccia da parte della Casa Bianca, adesso se ne sono viste le prime evidenze, con i neo-dazi su fotovoltaico e lavatrici, quelli che dovrebbero arrivare per il dumping sui tubi in ferro, quelli attesi su alluminio e acciaio, e i passi successivi per contenere i furti di proprietà intellettuale – che Washington considera parte dell’enorme mole di informazioni raccolta continuamente dal rastrellamento di intelligence, molta anche cibernetica, cinese.
Pechino mantiene un atteggiamento distaccato, sostiene che la collaborazione in ambito economico – tra le due economie più grandi del pianeta – può portare soltanto mutui benefici e che “entrambe le parti possono esplorare la cooperazione in materia di energia, infrastrutture e nell’iniziativa Belt and Road (il piano infrastrutturale/geopolitico fortemente voluto da Xi, che però Washington per il momento non ha intenzione di sostenere in alcun modo, ndr), aprire i rispettivi mercati e gestire le differenze in modo appropriato”, per dirla con le parole di Jiechi; proprio sul commercio ci sono invece i maggiori scontri, perché per Washington non c’è mutualità di benefit, visto che lo sbilancio commerciale di cui soffrono gli Stati Uniti continua ad aumentare.
Però, come sempre, la Cina ha abbinato posizioni più severe alla linea armoniosa, e ha già fatto sapere agli Stati Uniti che se riterrà inadeguate le decisioni americane risponderà con contromisure altrettanto aggressive. Pechino è in una fase d’oro: il presidente Xi Jinping ha ottenuto praticamente un’investitura a vita con la modifica costituzionale che toglie l’obbligo del “massimo” due mandati, i media di stato lavorano a ciclo continuo per spingere la propaganda, e l’economia va sufficientemente bene; e contemporaneamente la Cina per difendere i propri interessi commerciali e geopolitici ha strutturato un esercito via via più tecnologico, che ha giurato un patto di sangue con il venerato presidente.
Sulla base di questo scenario, diventa difficile pensare che Pechino possa fare un passo indietro sulle proprie azioni e sui propri interessi; d’altra parte, l’amministrazione americana, potrebbe iniziare nel 2018 a dare spazio alle voci interne più aggressivamente anti-cinesi. Certi contatti di alto livello servono (almeno per il momento) a mantenere intatte le relazioni diplomatiche, sotto una luce di cordiale distanza.