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Il mezzogiorno può crescere. Ecco come. Istruzioni per l’uso

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Si può ancora continuare a descrivere un mezzogiorno segnato solo da fenomeni pur rilevanti di degrado sociale, occupazionale e produttivo e da carenza di infrastrutture? E sono fondate le affermazioni ascoltate spesso in queste settimane di campagna elettorale da parte di studiosi, giornalisti di testate specializzate, opinionisti e rappresentanti di forze politiche secondo le quali l’Italia meridionale e le complesse problematiche del suo sviluppo sarebbero state trascurate nelle misure di politica economica degli ultimi due governi, risultando peraltro poco trattate nei programmi per la prossima legislatura dei partiti della coalizione di centro-sinistra ?

Leggendo il volume appena pubblicato ricco di saggi di autorevoli analisti ed esperti di questioni meridionali, curato da Giuseppe Coco e Amedeo Lepore e intitolato “Il risveglio del mezzogiorno”. Nuove politiche per lo sviluppo, edito dalla Casa editrice Laterza – che si avvale di una densa prefazione di Claudio De Vincenti ministro per la Coesione Territoriale e il Mezzogiorno – è possibile ricevere molte argomentate risposte alle domande e alle critiche apparse sulla stampa negli ultimi mesi: risposte, è bene dirlo subito, che pur senza sottacere le persistenti criticità occupazionali, sociali, economiche e infrastrutturali riscontrabili in molte aree meridionali del Paese, evidenziano tuttavia il dinamismo produttivo di larghe zone del sud, il risveglio civile di tante comunità locali, la crescita del turismo (da Pompei al Salento) e l’impegno (dati e risultati alla mano) per il rilancio del meridione profuso negli ultimi quattro anni dai Governi chiamati a guidare l’Italia, nel contesto più generale della ripresa del suo sviluppo.

Ma il libro di cui ci accingiamo a illustrare i contenuti non è affatto un pamphlet di polemica politica contingente, ma nei numerosi studi che lo compongono si sforza di delineare, sia pure in sintesi, i percorsi di sviluppo intrapresi dalle regioni meridionali dall’Unità d’Italia in poi, ne evidenzia i profondi mutamenti intervenuti nella loro struttura industriale e vi focalizza i numerosi punti di forza che continuano a caratterizzarle, pur dopo la crisi devastante degli anni 2008-2014, partendo dai quali le molteplici misure di politica economica assunte dagli ultimi esecutivi e approvate dal Parlamento hanno concorso a rilanciare la crescita del Sud a tassi anche superiori a quelli dell’intero Paese.

Nella sua prefazione Claudio De Vincenti, dopo aver tracciato un rapido excursus delle varie fasi dello sviluppo dell’Italia meridionale dal 1861 ai giorni nostri, focalizza la sua analisi sugli effetti della fase recessiva che si è abbattuta sull’Italia dalla fine del 2008, ricordando fra l’altro come da quell’anno e sino al 2014, il pil nel Sud abbia subito una flessione del 13,2% – a fronte del meno 7,2% del centro-nord – mentre l’occupazione ha registrato una contrazione dell’8,9%, rispetto al meno 2,5% delle altre due circoscrizioni. E così 500mila posti di lavoro sono andati perduti nelle regioni meridionali negli anni della più grave crisi del dopoguerra in Italia, acuendo le profonde difficoltà nel tessuto socioeconomico del sud che venivano peraltro da molto lontano. La “questione meridionale”, scrive dunque De Vincenti, “è ancora davanti ai nostri occhi”, con le sue diffuse criticità, ma si presenta in modo “molto diverso da come si configurava all’inizio degli anni ’50, quando si avviò l’attività della Cassa per il Mezzogiorno”. Il tasso di disoccupazione giovanile, infatti, è ancora più elevato di quello del centro-nord, e vede coinvolti migliaia di giovani con livelli di istruzione elevati che lasciano le città meridionali per cercare occupazione al nord o all’estero, impoverendo così la società del mezzogiorno. Vi sono inoltre quelli che De Vincenti chiama “i perdenti della globalizzazione”, ovvero i lavoratori delle piccole e grandi imprese entrate in crisi nell’ultimo quindicennio. Altra questione rilevante è il degrado urbano che colpisce città come Napoli, Reggio Calabria, Palermo, Catania, mentre anche molte zone interne continuano a subire perdite demografiche e processi di isolamento dal contesto nazionale.

Ma se queste in estrema sintesi sono le criticità più sofferte a livello sociale nel sud, ad esse fanno da contrappeso – scrive De Vincenti – le “nuove potenzialità che lo caratterizzano, dalla vivacità del tessuto manifatturiero e di larghe zone ad agricoltura avanzata” – il cui export nel biennio 2015-2016 è stato superiore a quello del centro nord – alla crescita sostenuta del turismo grazie ai valori paesaggistici, naturalistici, storico-culturali, museali e alla nuova industria dell’ospitalità ben presenti in tutte le regioni meridionali; dal forte risveglio della società civile, soprattutto in zone ancora segnate dalla piaga della criminalità organizzata, al rilancio di tante zone interne rivalorizzate anche dall’inserimento nel mercato del turismo naturalistico cui Internet permette di connettersi. Ma un’altra grande chance per il suo rilancio il meridione la individua nella sua centralità geografica nel Mediterraneo e nelle connesse potenzialità logistiche collegate anche al raddoppio del Canale di Suez e alle nuova prospettive della via della Seta.

Partendo allora dal mezzogiorno “così come è oggi”, De Vincenti sottolinea come l’impegno del governo sia stato quello di costruire un disegno per mettere a sistema tutte le potenzialità prima ricordate e farle diventare trainanti, capaci cioè di far ripartire il mezzogiorno nell’interesse però di tutto il Paese. Si ricordano così lo sforzo organizzativo profuso con successo per l’integrale impiego dei fondi europei del ciclo 2007-2013, il recupero di 300mila posti di lavoro – anche se non ancora sufficienti a colmare il mezzo milione perduto nella recessione – le varie misure di spesa assunte dagli ultimi due esecutivi con i patti per il sud sottoscritti fra governo, regioni e città metropolitane – capaci di coinvolgere pienamente nella definizione degli obiettivi su cui concentrare le risorse le grandi autonomie locali interessate – i massicci interventi infrastrutturali conclusi, in corso e avviati sotto l’impulso dal ministro Delrio, gli sgravi contributivi per le assunzioni di giovani, l’istituzione delle zone economiche speciali, pensate come strumenti per attirare nuovi grandi investimenti di imprese esterne ai territori. E poi ancora gli incentivi per il progetto “Resto al Sud” per favorire la nascita di nuova imprenditoria giovanile, e l’avvio a soluzione delle complesse vicende industriali e ambientali riguardanti l’area di Taranto.

Ma dicevamo all’inizio che il volume raccoglie brevi ma densi saggi che raccontano l’evoluzione del divario nord-sud non solo durante gli anni del ‘miracolo economico’ ma anche negli ultimi decenni per analizzare così le cause della situazione odierna e trarne alcuni insegnamenti fondamentali per le strategie del futuro. E scusandoci per le omissioni, ricordiamo in particolare gli scritti di Guido Pescosolido, di Amedeo Lepore, di Giuseppe Coco e Giorgia Pasciullo, di Giuseppe Di Taranto e Rita Mascolo, di Giovanni Ferri, di Pietro Spirito, di Ernesto Somma e Francesco di Nola e quello di chi scrive e Andrea Ramazzotti: un saggio quest’ultimo in cui con ricchezza di dati si evidenzia la persistente presenza della grande industria nelle regioni meridionali.

Il profilo complessivo del mezzogiorno che emerge dal volume dunque è quello di una grande realtà territoriale di rilievo europeo, ricca di luci e di ombre, ma nella quale il crescente dinamismo di vasti settori sociali, economici, imprenditoriali, istituzionali e culturali prevale sugli elementi, pur tuttora presenti purtroppo, di degrado e di difficoltà occupazionali.

Un dinamismo diffuso in tante realtà meridionali, che – è doveroso peraltro sottolinearlo – è anche il frutto non solo dell’impegno profuso dal governo ma anche dell’intensa attività politico-amministrativa di Regioni come Campania, Puglia, Basilicata, Abruzzo, Sardegna che, pur fra innegabili difficoltà di varia natura, stanno contribuendo in misura rilevante alla modernizzazione dell’Italia meridionale. Una modernizzazione molto complessa, spesso difficile, non sempre lineare, ma sicuramente misurabile e ormai percepibile in cui sono impegnate da molti anni anche grandi testate giornalistiche come La Gazzetta del mezzogiorno, il Mattino, La Sicilia e le molte Università distribuite sui territori. Anche le Istituzioni ecclesiastiche, in molte diocesi e con tanti loro autorevoli ministri del culto, stanno offrendo un contributo prezioso al rinnovamento della società meridionale.

La sfida del superamento definitivo sul medio lungo periodo del divario nord-sud – se dovrà continuare a contare sull’impegno e sulle misure di politica economica dei futuri governi del Paese, da assumersi però nell’interesse dell’intera economia nazionale – non potrà tuttavia esimere noi meridionali, tutti nessuno escluso, da uno sforzo massiccio, quotidiano, sistematico per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo prima ricordato. Sarebbe infatti esiziale se si continuasse a pensare che sia un dovere solo del governo impegnarsi per il riscatto dell’Italia del sud: senza il nostro sforzo operoso e partecipe, è inutile fingere di ignorarlo, non vi sarebbe alcun risultato tangibile nella direzione da tutti auspicata.


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