Si vota fra pochi giorni e oggi, martedì, si sta rivelando la giornata decisiva. Proprio oggi infatti prende corpo, come mai sin qui, il nome del più probabile candidato alla guida del governo nel caso si realizzi il più probabile degli scenari, cioè Antonio Tajani a Palazzo Chigi con il centrodestra che vince (o quasi) le elezioni.
Lui, il “passista” berlusconiano, lui che tenacemente rimane in Forza Italia anche quando non è affatto di moda farlo, lui che sceglie l’Europa quando tutti si contendono fino all’ultimo posto di sottosegretario. Tajani parte da lontano e ben lo ricordiamo noi giornalisti non proprio ragazzini: è già con il Cavaliere ad Arcore nelle vorticose settimane d’inizio ‘94, quando, sul morire della Prima Repubblica, Berlusconi scende in campo ribaltando un risultato elettorale favorevole alle sinistre guidate da Achille Occhetto con una campagna elettorale rapida e innovativa (ma preparata con cura nei mesi precedenti). Un uomo solido dunque, che ha visto tutta la seconda Repubblica da vicino (ma non troppo), che è sempre stato accanto al suo leader (ma non troppo), che ha esercitato potere politico ed istituzionale (ma non troppo).
E allora perché Tajani? E perché adesso? Proviamo a rispondere a queste due domande. La scelta cade su di lui perché il centrodestra arriva primo a queste elezioni (inteso come coalizione), seguito dal M5S e, in terza posizione, dalla “squadra” guidata dal PD. Forse secondo e terzo posto possono essere invertiti (ma è improbabile), mentre non è in discussione il primo. Serve quindi una figura che vada bene a tutti e che sia in grado di convivere (da Palazzo Chigi) con il Cavaliere ma anche con Salvini e Meloni, dotati di un certo “caratterino”.
Deve poi avere esperienza e tendenza alla moderazione, perché sarà un grande esercizio di equilibrio tenere insieme una coalizione che si annuncia piuttosto litigiosa, come dimostra la campagna elettorale non proprio armonica che va concludendosi. E poi c’è un tema legato al momento in cui viviamo ed alle delicate dinamiche politiche dentro e fuori i confini nazionali.
Torniamo un momento al 2011: Berlusconi finisce disarcionato perché non coglie il pericolo di una frattura con i big d’Europa, che trova il suo momento simbolico nelle celebri risatine di Merkel e Sarkozy al termine del Consiglio d’Europa di fine ottobre. I capi dei due governi più importanti d’Europa irridono il premier italiano e, guarda caso, di lì a un mese a Palazzo Chigi entra in modo trionfale Mario Monti. Ebbene Tajani è oggi il Presidente del Parlamento Europeo, garanzia vivente di un ancoraggio che non ha motivo di essere messo in discussione, ma è anche l’uomo che ha reso possibile la ripresa di contatto diretto tra Berlusconi e Merkel, finendo così per entrare a pieno diritto nel ristretto “club” dei super mediatori di livello internazionale.
Sono doti che ovviamente gli riconosce il Cavaliere, ma che al tempo stesso gli consentono di ottenere (proprio oggi) il via libera di Matteo Salvini, di incassare sostegno esplicito da Emma Bonino e persino l’apprezzamento di Laura Boldrini, insomma quella che, in altri tempi, avremmo chiamato una “significativa convergenza”. Tutto ciò vale ad una condizione però, cioè che il centrodestra sia capace di ottenere la maggioranza nei due rami del Parlamento o di andarci molto vicino. Se invece si ferma (alla Camera dei Deputati) a 270-280 voti la partita si complica e allora sarà il Capo dello Stato a cercare una via per uscire dall’impasse.
Oggi però, nell’ultimo martedì prima delle elezioni, giungiamo a una certezza: Tajani va a Palazzo Chigi se la sua parte politica vince (o quasi) le elezioni. Di questi tempi, dominati dall’incertezza, non è poco.