La politica italiana in questa ultima fase di campagna elettorale continua a vivere una perdurante omissione: affidare le fortune del proprio segmento politico solo all’attivismo del suo capo. Succede con Giorgia Meloni per Fratelli d’Italia, con Matteo Salvini per la Lega, con Silvio Berlusconi per Forza Italia, con Matteo Renzi per il PD. È inutile parlare degli altri, perché, facendo di necessità virtù, sin dall’inizio si sono sfilati da questa discutibile logica di affidare il proprio destino alle capacità di uno solo.
Il leader che guida il partito nel tempo ordinario come in quello straordinario, e che traccia il sentiero da seguire per raggiungere gli obiettivi prefissati e condivisi con la dirigenza del partito è esistito sempre. Accadeva anche nella cd prima repubblica, ma con una differenza: allora il ruolo dei dirigenti non era votato alla passività o al silenzio, per consentire che il capo avesse maggiore spazio e più lustro, tutt’altro. Intervenivano, coadiuvavano, affiancavano, caso mai correggevano pure il capo se usciva fuori dagli scenari previsti. Altra epoca, erano i comportamenti degli esponenti politici che credevano nella democrazia come sistema politico, ma soprattutto come organizzazione all’interno del partito, dove si agiva in modo corale, rispettando il pensiero di tutti i partecipanti.
Pur disapprovando l’attuale legge elettorale, è apprezzabile, come male minore, la linea seguita dalle liste più piccole che, in alleanza con quelle maggiori, hanno comunque deciso di non intrupparsi nei contenitori più capienti, considerandola una pratica opportunistica, asfittica, che registra l’impotenza ideale e morale di una forza politica. È pertanto da condividere l’idea del ritorno al voto a breve, se una maggioranza chiara e omogenea non si forma in questa tornata, con l’obiettivo di approvare una legge elettorale seria, adeguata, coerente che consentirà di avere governi di coalizione praticabili e non raccattaticci. Che democrazia è se uno solo rappresenta le idee di tutti gli altri che vivono la medesima realtà organizzativa e politica? La risposta la si sta avendo dalle varie trasmissioni televisive che propongono a ripetizione interviste ai capi partito, i quali non fanno altro che insistere, alla stregua di scadenti mercanti, su facili promesse già esposte o improponibili, al punto che il cittadino comune in ascolto non assegna la minima credibilità a chi parla.
I programmi politici e di governo sono un vero e proprio tabù per la politica di questi anni, nessuno è in grado di prepararli e di sottoporli all’attenzione del popolo. I protagonisti, in massima parte, sono privi dell’idea di Paese e se non c’è l’idea di Paese non ci sarà un programma politico, un programma di governo. Ecco il motivo per cui con convinzione gioiosa i più sono propensi ad utilizzare la scorciatoia della delega al capo, a prescindere dall’esito del risultato. Una condizione comoda per pochi, ma preoccupante per l’interesse generale del Paese, perché in tal modo si impoverisce la democrazia; non si ha una classe dirigente responsabile; non si contribuisce a migliorare la condizione socio-economica dell’Italia.