Si fa un gran parlare dell’esito delle elezioni politiche. In molti, tra gli addetti ai lavori, hanno definito il tempo presente come quello della “Terza Repubblica”, ma dopo il voto del 4 marzo sono evidenti le difficoltà della politica ad assicurare la governabilità ed, in particolare modo, di assicurare un valido sostegno alla ripresa economica.
IL PATTO DELLA FABBRICA
Prima e dopo la consultazione elettorale le confederazioni sindacali e quella confindustriale hanno fatto la loro parte: il 28 febbraio hanno siglato l’accordo sul nuovo modello contrattuale e di relazioni industriali; il 9 marzo hanno sottoscritto ufficialmente la suddetta intesa.Si tratta del “Patto della Fabbrica” e, dato il contesto, presenta la valenza politica di un vero e proprio atto di coraggio e di dignità; al di là del merito specifico del documento condiviso. Conferma i 2 livelli di contrattazione, indica i criteri di calcolo degli aumenti salariali, introduce il Trattamento economico complessivo e minimo (Tec e Tem, ndr) e definisce per la prima volta la misurazione della rappresentanza anche per le imprese.
LA LEZIONE A CHI NON CONTA PIÙ NULLA PER TE
Eppure, nell’analisi post-elettorale, più di qualcuno ha suonato il campanello d’allarme per tutte le associazioni intermedie, rappresentative d’interessi, tra cui risulta anche il sindacato.”Sei solo – ha scritto Pierluigi Battista sul Corriere della Sera – asserragliato in casa, non vai più al cinema, non vai più ‘al partito’, non vai più ‘al sindacato’, hai paura anche, ma in tv dicono che statisticamente non dovresti più avere paura. E allora non voti più, e se vai a votare voti quelli che ti sembrano l’unica comunità rimasta, e che almeno riesce a dare una lezione a quelli che contano ma non contano più nulla per te”.
LO SHOCK PER IL SISTEMA
Giuseppe Sabella è stato ancor più esplicito: “Il sindacato, in generale -ha spiegato,in un’intervista televisiva, il direttore esecutivo di “Think-in”- in questi anni non ha brillato per capacità di comprensione del cambiamento. Quindi, non è per nulla scontato che tra i vertici delle organizzazioni sindacali fosse previsto questo risultato. Intendo dire che, forse, le idee del tutto chiare ancora non ci sono, perché la pesante affermazione del M5S e della Lega rappresentano uno shock per il sistema. Ovvio che anche tra il sindacato emergeranno nuovi orientamenti, semplicemente per una questione di sopravvivenza”.
CAMBIARE TUTTI IN PROFONDITÀ
Mario Sassi ha chiosato: “La recente indagine sulla fiducia nei corpi intermedi -si legge nel suo “Blog-notes”- fotografa un Paese più diversificato e meno statico nei giudizi. È però indubbio che questo risultato elettorale va ben oltre la Politica. Sollecita tutti a cambiare in profondità. Induce a riflettere sugli ostacoli al cambiamento, sui modelli organizzativi, sulle strategie. Invita a guardare i nostri mondi con gli occhi di oggi e non con lo specchietto retrovisore”.
LA SINDROME TRASVERSALE
Giudizi che rappresentano un qualcosa che si ritorce contro ed in cui emerge tutta la difficoltà del sistema a mantenere il senso del futuro. “Si tratta -indica il sociologo Mauro Magatti- di una sindrome trasversale che colpisce l’economia (dove stagnano gli investimenti), la demografia (con l’inverno demografico), la politica (che rincorre le urgenze quotidiane)”.
LE SCELTE DA FARE
Eppure il futuro è ancora possibile, soprattutto per quanto concerne la crescita economica e, nello specifico, la politica industriale. Ma occorre non perdere tempo, cogliere l’attimo, saper scegliere. Solo per fare un esempio, il settore metalmeccanico è in piena ripresa: la produzione è cresciuta su base annua del 2,9% nel 2017 come segnala l’indagine congiunturale di Federmeccanica. Per fare in modo che questo spaccato di economia reale possa migliorare ancora basterebbero poche cose da realizzare.Prima di tutto, assicurare una prospettiva al gruppo Ilva, la più grande azienda siderurgica del Paese. Poi, investire nel rapporto tra le migliori università e i grandi gruppi nazionali; sostenere le piccole e medie imprese; aumentare le imprese che vendono all’estero; collegare efficacemente l’offerta e la domanda di lavoro; riuscire a condizionare i vertici Ue rispetto alla concorrenza dei Paesi Ue sul costo del lavoro.
Non ci vuole molto a ritrovare un’idea di futuro, ma bisogna aver in testa la direzione da prendere: una scelta che passa nella libera ricostruzione del nesso tra economia e democrazia. Se i tempi stanno cambiando, questo è il modo migliore per affrontarli, al di là di ogni risultato elettorale.