Le elezioni italiane e le sue conseguenze politiche sono oggetto di analisi in Europa e non solo. Non sorprende che anche una capitale amica come Washington DC legga con interesse, e con punte di preoccupazione, quello che accade a Roma. In un clima ancora infuocato circa le relazioni con il Cremlino, non c’è diplomatico o giornalista che non metta in relazione l’esito del 4 marzo italiano con la crescita di un sentimento più vicino alla Russia che agli Usa.
Con un editoriale sul New York Times, la celebre firma di Frank Bruni ha dato voce e visibilità esattamente a questo timore: lo spostamento dell’asse di riferimento del Paese a netto favore di Vladimir Putin. “L’Italia ha abbandonato l’America. Per la Russia”, il titolo eloquente. Senza troppi giri di parole e con un’analisi supportata dal confronto con personalità italiane del calibro di Maurizio Molinari, Roberto D’Alimonte e Giancarlo Loquenzi, l’autore evidenzia la tendenza ormai consolidata del sistema Italia a guardare verso Mosca in un moto di allontanamento perpetuo da Washington. Due i principali fattori cha hanno contribuito a plasmare in maniera più chiara che mai la situazione di allarme: la vittoria di Donald Trump alle presidenziali negli Stati Uniti – con il conseguente avvio di un’era politica basata sul principio di America First – e l’affermazione schiacciante dei nuovi movimenti anti-establishment nella recente tornata elettorale del quattro marzo.
Un fenomeno, quest’ultimo, che a detta di Bruni, celerebbe una ferita assai più profonda e insanabile di quanto l’America di Trump possa o voglia immaginare, non esprimendo semplicemente una inclinazione temporanea del sistema politico nazionale rispetto alla sua posizione storica ma essendo piuttosto espressione di una vera e propria flessione dell’atteggiamento di tutti gli italiani verso gli Stati Uniti, profondamente mutato nel corso degli ultimi anni. Un anti americanismo diffuso che sarebbe divenuto istanza politica.
Quasi come in una rassegnata presa di consapevolezza di un rapporto compromesso, emergono considerazioni cupe sul presente e sul futuro di un Paese che sceglie di guardare a nuovi modelli e di gettare al vento la propria storia: “I risultati elettorali sono caratterizzati dal trionfo del populismo. Ma è stato anche un trionfo per Putin: la prova che molti italiani ci hanno abbandonato e sostituito con la Russia. Siamo un corteggiatore confuso e di conseguenza azzoppato, in Italia e altrove. Sotto Trump, stiamo lasciando che le alleanze un tempo solide scivolino tra le nostre dita e si allontanino in modo quasi cavalleresco”.
I segnali sembrerebbero andare in questa direzione filo-russa. Il richiamo ai programmi elettorali e alle dichiarazioni degli esponenti di Lega e Movimento Cinque Stelle offrirebbero abbondanti conferme a questa interpretazione. La politica italiana è però più articolata di come appare ed è sempre consigliato leggerla fra le righe e non sulle righe. Nel Movimento 5 Stelle, il candidato premier Luigi Di Maio aveva scelto di ribadire il legame con gli Stati Uniti nella sua prima visita istituzionale all’estero, proprio a Washington. E se il leader della Lega, Matteo Salvini, non ha mai negato le proprie simpatie verso Mosca ed è stato “endorsato” da Steve Bannon, risulta difficile immaginare che darebbe seguito a politiche lontane dall’asse transatlantico. Dallo stesso quartier generale del partito fanno sapere che la Lega è al governo di importanti regioni ed ha avuto già responsabilità di governo a livello nazionale. Insomma, a dispetto delle dichiarazioni, l’amore verso gli Stati Uniti non è in crisi come apparirebbe e come Bruni ha scritto.
Solo i prossimi mesi potranno fare chiarezza su uno scenario che resta in ogni caso tutto da definire. Passato il clamore della tornata elettorale, bisognerà ora aspettare che la polvere dei comizi si posi definitivamente per riuscire a vedere l’orizzonte in maniera più nitida e capire in che direzione stia andando l’Italia. Indubbiamente un problema di rafforzamento delle relazioni fra i due Paesi esiste anche se meno grave rispetto all’analisi di Bruni. In questo senso bisogna tenere conto non solo delle posture di M5S e Lega ma anche a quello che accade a Washington. La guerra commerciale intrapresa dal Presidente, anche se trova in Italia una posizione assai più prudente che a Bruxelles o Berlino, potrebbe avere conseguenze negative. La Coldiretti ha per esempio dichiarato che, in caso di dazi sui prodotti agricoli sui loro prodotti, il nostro Paese dovrebbe reagire revocando le sanzioni alla Russia. Una provocazione, naturalmente. Che la dice lunga però sulla necessità che il legame transatlantico vada coltivato su entrambe le sponde dell’oceano. Per riprendere le parole di Bruni, se gli americani sono “un corteggiatore confuso e di conseguenza azzoppato”, l’Italia non può permettersi di recitare la parte di chi si sente abbandonato e per ripicca corre tra le braccia del primo che capita.