La mano dura del presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, contro gli oppositori interni continua senza sosta dal luglio 2016 quando fu sventato un colpo di Stato. Nell’ultima settimana sono state arrestate 1.107 persone in tutta la Turchia con accuse di terrorismo e, come già avvenuto in passato, tra gli arrestati c’è un po’ di tutto: 740 sono legati alla rete dell’imam Fetullah Gulen, che vive degli Stati Uniti e che è considerato la mente del tentato golpe, altre 262 persone sarebbero aderenti al Pkk, il partito indipendentista curdo, 95 sono sospetti jihadisti e 10 sono membri di gruppi illegali di estrema sinistra. Un numero spiega la politica di Erdogan: dal luglio 2016 gli arrestati sono stati quasi 90mila.
Il ruolo determinante della Turchia per il Medio Oriente e l’area del Mediterraneo rende complicati i rapporti con gli altri Paesi e con l’Unione europea che da un lato stipulò due anni fa un accordo sulla base di 3 miliardi di euro (più altri 3 entro il 2018) per fermare i traffici di migranti sulla rotta balcanica e dall’altro pretende da Erdogan il rispetto dei diritti umani. Sul fronte dell’immigrazione i risultati si vedono: il ministero degli Interni turco ha appena comunicato di aver fermato solo nell’ultima settimana 5.371 persone che tentavano di entrare illegalmente nell’Unione europea arrestando 136 trafficanti. È sull’altra questione che i rapporti restano molto tesi. Arresti di giornalisti e di semplici oppositori hanno trovato una condanna internazionale e solo pochi giorni fa la magistratura ha deciso la scarcerazione di altri due reporter del giornale di opposizione Cumhuriyet il cui presidente resta invece in carcere. Il livello di paranoia è documentato dalle migliaia di semplici impiegati arrestati dopo il fallito golpe: nello scorso gennaio, infatti, ne furono reintegrati oltre 1.800 dopo essere stati licenziati per aver scaricato un sistema di messaggistica cifrato giudicato un mezzo usato dai golpisti. In realtà le autorità avevano poi chiarito che migliaia di persone l’avevano scaricato senza secondi fini.
Il potere di Erdogan, com’è noto, si è rafforzato dopo il referendum dell’anno scorso che ha modificato la Costituzione concedendo molti poteri al presidente della Repubblica che diventa anche capo del governo: l’obiettivo dell’attuale leader è quello di restare in sella fino al 2029. Eppure la vittoria del referendum è avvenuta solo con il 51,4 per cento il che significa che le opposizioni rappresentano la metà del Paese. Lo scorso anno Erdogan rispose duramente a più di un commissario europeo che protestava per la violazione dei diritti umani e per gli arresti dei giornalisti: le minacce di embargo non gli facevano paura. Sullo sfondo resta il fatto che la Turchia è membro Nato e che, nonostante tutto, si ragione sull’ipotesi di un suo ingresso nell’Unione europea. Nello stesso tempo, lo scorso dicembre Erdogan ha stipulato un accordo per acquistare quattro missili S400 da Mosca (il primo è previsto tra due anni), che per un membro Nato non è proprio normale e che ha fatto storcere il muso a molti membri dell’Alleanza atlantica. Inoltre, la Turchia è sempre più in prima linea contro i curdi in Siria e in Iraq e ne approfitta per provocare proprio la Nato, “colpevole” di non fornire aiuto mentre, dice Erdogan, “siamo costantemente aggrediti da gruppi terroristici ai nostri confini”. Come si vede, non devono sorprendere le continue retate in casa propria, che si tratti di veri terroristi oppure no.