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Il declino dell’impero americano (e la caduta di quello romano)

La settimana scorsa sull’ultimo numero di Science, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, è uscito un editoriale di Bruce Alberts, Editor-in-Chief della rivista, dal titolo “Am I Wrong?” Sbaglio? Un articolo che affronta il problema del taglio dei finanziamenti della ricerca negli Stati Uniti e che può essere spunto per alcune riflessioni anche relative alla situazione Italiana.
Il pezzo inizia con una considerazione che ognuno di noi potrebbe e dovrebbe fare: “Ho sette nipoti, e mi preoccupo per il loro futuro. La nazione in cui sono cresciuto, gli Stati Uniti, ha chiaramente smarrito la sua strada maestra in un momento in cui il mondo ha disperatamente bisogno di una leadership lungimirante”. Alberts parte dalla considerazione che, a differenza degli USA, la Germania, la Cina e la Corea del Sud stanno facendo ingenti investimenti per potenziare le loro infrastrutture- trasporti, acqua, energia, rifiuti, e tempo libero. E hanno idee molto precise e focalizzate su come utilizzare le risorse pubbliche per sostenere la Scienza e la tecnologia. Al contrario negli USA “non solo ci troviamo di fronte a infrastrutture fatiscenti ma i nostri investimenti federali in Ricerca e Sviluppo sono stagnanti e sono passati dal 1,25% del prodotto interno lordo (PIL) nel 1985 allo 0,87% nel 2013”. Tutti i dati degli indicatori economici a cui fa riferimento l’editoriale sono riportati in modo semplice al sito http://www.aaas.org/spp/rd/guihist.shtml. Purtroppo non ho trovato niente di simile che permettesse di fare un confronto con la situazione Italiana. I dati Istat riportati da Confindustria un anno fa (http://www.confindustriasi.it/news-1454.html) dicono che in Italia la spesa in R&D nel 2011 è stata 1.26% del PIL, in calo rispetto agli anni precedenti e inferiore alla media europea che è del 2%. In questa speciale classifica i primi della classe in Europa sono Finlandia (3.87%), Danimarca (3.06%) e Germania (2.87%). L’analisi dei dati rivela un calo dei fondi pubblici che nel 2011 sono stati 8,9 miliardi rispetto ai 9,5 miliardi nel 2010 e 9,8 nel 2009. C’è da chiedersi se tagliare i fondi destinati alla ricerca sia la strategia giusta per ridurre gli sprechi dello stato e per rilanciare l’economia del paese! La percentuale del 1.26% del PIL Italiano destinata alla ricerca tiene conto anche degli investimenti privati. Le imprese investono oltre 10 miliardi, ma – e qui è l’altra debolezza italiana – ben il 70,4% degli investimenti arriva dalle grandi imprese. Mentre resta bassa l’incidenza delle medie (20,1%) e delle piccole (9,4%) che per altro costituiscono l’ossatura del sistema produttivo italiano. Inoltre, nel caso dell’Italia il problema non è solo di finanziamenti, ma anche di cultura: la Scienza non é considerata un valore del Paese.
Continua il Prof. Alberts nel suo editoriale: “Solo un governo “penny wise and pound foolish” (saggio nelle piccole decisioni e insensato in quelle più importanti) decide di risparmiare oggi sugli investimenti per la ricerca e di non prendere iniziative che produrranno enormi benefici in futuro”. Alberts considera ad esempio il fatto che la durata della vita media è in continuo aumento. “Non finanziare la ricerca per studiare i problemi connessi all’invecchiamento significa che tra qualche anno dovremmo spendere cifre considerevoli nell’assistenza sanitaria. Sappiamo che un ultra-ottantacinquenne su 5 è affetto da morbo di Alzheimer. E’ stato calcolato che i costi per la gestione dei malati di Alzheimer e di altre forme di demenza negli Stati Uniti aumenterà di cinque volte entro il 2050, fino a raggiungere la cifra astronomica di 1000 miliardi di dollari per anno. Tagliare i fondi per la ricerca di base in fisica, chimica, matematica, e biomedicina significa rinunciare a cercare una soluzione ai nostri problemi di domani.”
E’ quello che purtroppo sta avvenendo da anni in Italia. Recentemente il presidente del CNR, Prof. Nicolais, ha ricordato che ricerca, Università e formazione devono essere i punti principali del nuovo Governo così come avviene in altri paesi del Nord Europa. ”Abbiamo bisogno di più soldi, ma soprattutto di modifiche strutturali immediate per diventare competitivi. Non è possibile fare tagli con l’accetta ma occorre avere una visione di ciò che questo Paese sarà tra cinque o dieci anni perché dopo la crisi – ha spiegato – la competizione sarà dura: ci saranno paesi competitivi ed altri che non lo saranno e noi oggi siamo chiamati a scegliere il nostro futuro”.
Continua l’editoriale di Alberts: “Ho avuto la fortuna iniziare la mia carriera di scienziato in un momento in cui la ricerca negli USA era fiorente, grazie ad una leadership lungimirante. Non è un caso che in quegli anni siano ci sia stato un incredibile sviluppo sia dell’economia sia del benessere collettivo. A questo successo hanno contribuito ottimi ricercatori provenienti da altre nazioni. Le Università sono riuscite ad attirare un gran numero di studenti di talento provenienti da tutto il mondo. Una frazione importante di questi giovani scienziati e tecnici ha deciso di stabilirsi negli USA contribuendo al progresso scientifico del paese e rivestendo posizioni di leadership nell’industria e nella politica”. Ad esempio, il 25% dei membri della US National Academy of Sciences e della National Academy of Engineering non sono nati negli Stati Uniti anche se un prerequisito per venire eletti è quello di avere la cittadinanza americana. Una politica di integrazione, invece che di chiusura come si fa in Italia, è alla base del successo di una nazione. “E’ difficile immaginare una Silicon Valley, o uno qualsiasi degli altri centri che hanno fatto l’innovazione degli Stati Uniti, senza il contributo di immigrati di talento”. L’editoriale di Alberts termina con una serie di domande sul futuro e apre una discussione pubblica: “Con gli ultimi tagli alla ricerca, siamo diretti verso un futuro in cui gli scienziati e i tecnici stranieri non vorranno più intraprendere una carriera negli Stati Uniti? Dove nascerà la prossima Silicon Valley? Il calo delle opportunità di finanziamento ha reso la vita di alcuni dei migliori ricercatori una specie di lotteria, o forse sarebbe meglio parlare di roulette russa. L’effetto sul sistema di ricerca degli Stati Uniti sembra devastante. Sbaglio?”
Per capire quanto questa visione sia realmente corrispondente alla realtà e quanto i tagli alla ricerca stiano minando l’ambiente intellettuale e la creatività negli istituti scientifici Science ha lanciato un sondaggio e aperto una discussione pubblica.

Sarebbe auspicabile che una discussione di simile avvenisse anche da noi. Soprattutto in questo momento politico.

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