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Le dimissioni di Viganò, la riforma e il futuro del suo dicastero. Parla il vaticanista Carlo Marroni

La notizia è stata resa nota nelle ultime ore, il prefetto della segreteria per le comunicazioni, monsignor Dario Edoardo Viganò, si è dimesso dal suo incarico, in seguito alla vicenda che lo ha visto coinvolto nella diffusione, risultata in un secondo momento parziale, di una lettera riservata inviatagli dal papa emerito Benedetto XVI, a commento di una collana di volumi sulla teologia di papa Francesco. Nella prima parte della lettera Ratzinger si scagliava contro lo “stolto pregiudizio” nei confronti dei due pontefici, mentre nella seconda parte, in un primo momento sconosciuta, mostra perplessità sulla scelta di dare voce all’interno della collana a un teologo tedesco in passato fortemente critico contro Giovanni Paolo II e contro lo stesso pontefice emerito. 

Tutto ora ruota attorno al futuro del dicastero guidato dallo stesso monsignor Viganò, istituito dallo stesso Papa Francesco con motu proprio nel giugno 2015, e con l’obiettivo di portare avanti l’imponente riforma dei media vaticani, sfociata nella nascita del portale Vatican News. “Forse l’unica andata in porto”, commenta il vaticanista del Sole 24 Ore Carlo Marroni, in una conversazione con Formiche.net. “Viganò è uno degli uomini più vicini al Papa, che riponeva in lui totale fiducia. E aveva un potere di movimento molto elevato”, ha aggiunto Marroni. “Ma con una gestione molto verticistica, come di fatto era la sua, può capitare che si verifichino problemi di questo tipo”.

La notizia è arrivata come un fulmine, ma qualcuno se lo aspettava.

Col senno di poi, era ipotizzabile, era nelle cose che potesse accadere. Il Papa non aveva, da quanto risulta, dato segnali di voler intervenire in questa vicenda. Però evidentemente la situazione che si era creata presupponeva tali condizioni. Perché il caso di per sè non è clamoroso, rispetto ad altre vicende vaticane. È un fatto di nicchia, se così si può definire, stiamo parlando di una comunicazione su questioni teologiche. Ma è una grossa questione perché c’è di mezzo un Papa emerito, che scrive una lettera.

La vicenda denota una volontà di censura, oppure si tratta di una leggerezza, di un semplice errore?

Non lo so. Si tratta però di una lettera a quanto pare riservata, la cui genesi era che non fosse resa nota. Mentre poi è stata resa nota, e solo in parte. Questo ha generato l’incidente.

Ci sono stati vari fattori critici: il comunicato che ometteva una frase letta però a voce, la foto diffusa che mascherava tutta la seconda pagina del testo di Ratzinger, e infine il testo omesso.

Ci sono due livelli. La vicenda in sé, che evidenzia errori e criticità, nelle modalità in cui il fatto è avvenuto. E poi il fatto che l’intero contenuto della lettera non ne mette in discussione il contenuto, che cioè Ratzinger ha riconosciuto a Bergoglio che è stato colpito da questo stolto pregiudizio.

Cioè la seconda parte non inficia la prima?

Secondo me no, assolutamente. È una riflessione del pontefice emerito, per questo non andava destinata al pubblico. Dice di essere stupito che è stato ascoltato il teologo Hünermann: la sua è una puntualizzazione da teologo, come se fosse stato punzecchiato nell’area a lui sensibile. Commentando così quel punto specifico, ma credo soltanto perché immaginava che questa lettera fosse qualcosa di riservato. Contrariamente a quello che è stato detto tempo fa dal cardinale Müller, quando disse che il suo compito era di dare sostanza teologica al lavoro di un Papa più dedicato ai temi pastorali. Una cosa quasi scandalosa, perché si affermerebbe che un Papa non ha sostanza teologica. Soprattutto da parte di un ministro del governo del Papa.

La  seconda parte della lettera però conferma la prima anche per quanto concerne la forza dell’espressione, cioè nell’intento di Ratzinger di difendere Francesco?

Non so, ma credo che sia comunque un fatto incidentale. Perché mi pare che uno misurato come Ratzinger non si sarebbe mai spinto a dire una cosa così forte. Non stiamo parlando di Bergoglio, che se usa la parola stolto in fondo non stupisce nessuno. Non è però nel linguaggio usuale del Papa emerito. La questione è poi diventata più grossa quando i critici, i nemici, gli oppositori di Bergoglio hanno tratto linfa vitale, pure legittimamente se si vuole, da questa vicenda, trovandovi un appiglio importante. Per poter nuovamente ascrivere Raztinger, tra gli oppositori, nonostante la lettera, e nonostante sappiamo che non lo è mai stato. La modalità della vicenda dava loro buon gioco. Viganò, che è uomo di mondo, si è reso conto che se fosse rimasto in quell’incarico avrebbe dato spazio per gli attacchi agli oppositori di Francesco. E in questo modo ha scaricato la loro arma.

La logica è quindi di servizio al Papa. Qual è il futuro del dicastero da lui guidato?

Viganò è uno degli uomini più vicini al Papa, che riponeva in lui totale fiducia. E aveva un potere di movimento molto elevato, che gli ha permesso di portare avanti la riforma dei mezzi di comunicazione. Che, condivisibile o meno, è forse l’unica andata in porto. Le altre sono tutte un po’ zoppe, monche, tornate indietro. E ora è stato affidata pro-tempore a questo monsignore argentino, Lucio Adrián Ruiz. La formula invece assegnata a Viganò, inventata ad hoc, quella di assessore alla segreteria, penso sia una formula transitoria. Ma con una gestione molto verticistica, come di fatto era la sua, può capitare che si verifichino problemi di questo tipo.

E la riforma?

La riforma è fatta, non è che fosse centrata su una persona senza la quale non va più avanti. Anzi il Papa ha accennato che verrà completata, con la fusione dell’Osservatore Romano. Cioè il futuro è di maggiore stabilizzazione: come tutte le riforme dopo il periodo iniziale, con una fase più tumultuosa, ora verrà a stabilizzarsi, e verrà scelta una persona di fiducia del Papa. La riforma nasce per non essere solo di struttura, ma di messaggio. La realtà però è che c’erano costi troppo alti. All’inizio fu incaricata la McKinsey che diceva di licenziare un sacco persone. Il Papa disse che non si doveva licenziare nessuno, ma si dovevano razionalizzare i costi e ottimizzare le risorse. E questa riforma ora va avanti, a prescindere da chi la guiderà. Sono cose a cui il Papa tiene molto.

Ratzinger invece, da tutta questa vicenda, come ci sarà rimasto?

Non so se ci siano state reazioni da parte dell’entourage del Papa emerito, sul fatto che lui sia stato tirato in ballo in tutta questa vicenda, suo malgrado. Perché insomma, magari ci sarò rimasto male, non lo so. Non sto dicendo che l’ha fatto. Ma avrà chiesto ragioni.

Invece Papa Francesco cosa sapeva di tutta questa vicenda?

Per come ho capito, a questo Papa di tutte queste vicende mediatiche interessa poco. Se ne disinteressa facilmente. Mentre alcuni monsignori, anche ad altri livelli, stanno molto attenti agli equilibri e quindi anche alle questioni mediatiche. Ma per me a Bergoglio, di tutto questo, non interessa nulla. Però ha compreso che sarebbe potuta diventare un elemento di costante problematicità. Questo credo di sì.

E comunque indica l’esistenza di un malessere interno.

Nella gestione quotidiana della Curia ci sono delle criticità, è evidente. Allo Ior ci sono stati problemi anche recentemente, quindi non è che va tutto liscio. C’è la segreteria dell’economia con un prefetto che ora è in Australia, e che resta guidata da un capoufficio, monsignor Mistò. Nel caso dello Ior, il problema è stato il licenziamento di Mattietti, che chiese di essere ascoltato dal board dello Ior e non è stato mai ricevuto. Oggi lo Ior è diventata una piccola banchetta, perché c’è stato un salasso di depositi, a quanto risulta. Molti se sono andati. Molti religiosi, per una serie di motivi, hanno cominciato a togliere i loro soldi, perché magari gli conveniva depositarli in un’altra banca. E il bilancio arriverà a breve.

Il Papa ha accettato le dimissioni dopo avere “attentamente ponderate le motivazioni della sua richiesta”.

C’ha riflettuto, prima di prendere la decisione. Ma sono arrivati alla conclusione che era meglio così, perché c’era il rischio che avrebbero poi detto di tutto. Ma nella seconda parte della lettera non viene criticato il Papa, piuttosto la scelta editoriale di dare voce a quel teologo tedesco, che sono due cose diverse. Critica una scelta editoriale.

Qualcuno ha associato i teologi in questione all’entourage del Papa, per arrivare fino al Papa stesso, il suo pontificato.

Tutto può essere, ma si parlerebbe di una catena troppo lunga. Penso che siano scelte più casuali. A questo Papa non interessa in alcun modo attaccare i precedenti, non ne avrebbe ragioni. Una volta, parlando di un incontro ecumenico, disse di lasciar fare ai teologi il loro lavoro, mentre la Chiesa procede e va avanti su altri piani.  In questo modo derubrica certe questioni: sono approcci diversi. Non credo che ascoltare il teologo tedesco sia stato un indice di un insieme più ampio.

Quindi il problema è legato a chi strumentalizza Benedetto XVI.

Esatto, quello è il nodo. Ratzinger non ha mai attaccato Francesco, questo è oggettivo. E Bergoglio non ha di certo mai attaccato Ratzinger. Certo ha fatto scelte diverse, ha effettuato alcuni cambiamenti, ha modificato degli aspetti, come nello stile di rilasciare interviste, ma non significa attaccare il precedente. Semplicemente fa cose diverse. Fa parte del suo pontificato, altrimenti sarebbero lo stesso Papa.

“La riforma della Chiesa non sia anzitutto un problema di organigrammi quanto piuttosto l’acquisizione di uno spirito di servizio”, dice la risposta di Francesco alla lettera di Viganò, l’unica finora letta.

E l’unica che uscirà. Viganò ha fatto la cosa giusta, perché è giusto sgombrare il campo. Ha fatto la stessa cosa che si farebbe in qualsiasi altra azienda, istituzione o ente civile importante. Se domattina il segretario del Quirinale ha un incidente si dimette lui, mica il presidente della Repubblica. Viganò, che è uomo di mondo, ha preso atto di questo. Ci sono ministri di governo che con errori dieci volte più gravi non si sono mai dimessi e hanno così danneggiato il governo. Quando si ha senso delle istituzioni, lo si dimostra in tutti i casi, anche negli errori.


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