Il presidente americano Donald Trump ha cambiato per la seconda volta il Consigliere per la Sicurezza nazionale: salta l’incarico affidato al generale intellettuale Herbert McMaster e al suo posto entra un conservatore falco, dalle visioni piuttosto aggressive, John Bolton. Si scrive “un’altra” volta perché il posto di guida del National Security Council (Nsc) era già stato occupato da Michael Flynn, costretto a lasciare dopo pochi giorni dall’inizio del mandato per guai connessi con l’inchiesta sull’interferenza russa.
Bolton, il cui incarico inizierà il 9 aprile (come annunciato dal presidente tramite Twitter), è un subentro atteso: innanzitutto per la sua nomina – più volte in predicato di occupare ruoli in amministrazione, dal segretario di Stato all’Nsc già ai tempi dell’uscita di Flynn, ma finora, scrivono i cronisti più smaliziati come quelli del New York Times, era stato tenuto fuori dall’amministrazione per i suoi “walrus-style mustache“, ossia i baffi da tricheco che non piacevano al laccato Trump (di fatto, era considerato non troppo adatto per la sua aggressività in un equilibrio da mantenere col partito che chiedeva maggiore moderazione).
Poi per il licenziamento di McMaster. Da mesi si era fatto sempre più insistente il rimbalzo di fonti anonime che rivelavano come il rapporto tra il presidente, fautore della politica America First, e il suo primo consigliere, legato ai canoni più classici repubblicani e militari sul ruolo dell’America nel mondo, era agli sgoccioli.
Gli ultimi scoop dei media americani scrivevano che Trump però non sopportava più soprattutto l’atteggiamento “paternalista” che il generale aveva nei suoi confronti. È forse propio per questa mancanza di empatia personale che è stato fatto fuori dopo settimane di discussioni; con Bolton invece incrocia visioni e amici, a cominciare da Bob Mercer, grande finanziatore repubblicano, che ha tra i beneficiari dei suoi bonifici Bolton e che è stato dietro, sia a livello economico che ingegneristico, a diversi passaggi della campagna Trump 2016.
Per capire Bolton potrebbe già bastare scorrere indietro il suo profilo Twitter di poche settimane, un feed programmatico: c’è tutto il repertorio del suo pensiero su tutte le questioni cogenti di questo momento. Non che serva in realtà, Bolton è conosciuto: è stato sottosegretario di Stato e soprattutto il noto agguerrito ambasciatore americano all’Onu negli anni della War on Terror (quando difendeva l’azione militare americana contro Saddam, per esempio). Una scelta in linea con l’aggressività che il cambio agli Esteri – dove entrerà un altro falco come Mike Pompeo per prendere il posto del compassato Rex Tillerson – significa.
Per dirla come la mette l’Atlantic: Trump ha tolto l’incarico da consigliere a uno che vede la guerra contro la Corea del Nord come ultima opzione, dando il posto a un altro che la valuta come prima risorsa che gli Stati Uniti dovrebbero utilizzare per trattare il dossier-Pyongyang. Due settimane fa, Bolton scriveva su Twitter: “Qualsiasi possibilità di una soluzione diplomatica con la Corea del Nord aumenta in proporzione diretta alla credibilità della nostra minaccia militare, che sia alla Cina che alla Corea del Nord deve essere fatto capire che è reale”. E ancora: “Abbiamo un tempo molto limitato prima che #NorthKorea acquisisca armi nucleari utilizzabili e dobbiamo considerare la scelta poco attraente dell’uso della forza militare per negare loro questa capacità”.
In un’intervista pianificata con Fox News, Bolton – che per Fox faceva l’opinionista scontroso – ha tenuto un profilo leggermente più moderato del solito davanti a domande dirette fattegli sui principali temi che riguardano la sicurezza nazionale (la rete più amica di Trump s’era già preparata a trattarlo come nuovo consigliere a meno di un’ora dall’annuncio di Trump), però ha detto che una strategia di sicurezza nazionale basata sulla fiducia che “regimi” come la Russia, la Cina, la Corea del Nord o l’Iran cambino sarebbe “fallimentare” (sulla Cina, questa visione, inizia a essere ampiamente condivisa).
Da Pyongyang a Teheran, sfruttando il link scoperto anche attraverso i trasferimenti di armi in Siria di cui anche l’Onu ha parlato: “I collegamenti tra i programmi di missili balistici iraniani e quelli di #NorthKorea sono indiscutibili e ci sono tutti i motivi per credere che stanno lavorando a stretto contatto anche sul fronte nucleare” (sempre via Twitter). Una posizione dura, che piacerà innanzitutto agli alleati sauditi – in questi giorni in visita negli Stati Uniti.
Bolton ha una visione piuttosto severe anche sulla Russia: nonostante, come affermato due anni fa, consideri l’interferenza alle primarie un “inside job” creato dall’amministrazione Obama, ha detto che “gli Stati Uniti devono rafforzare i loro alleati nell’Europa centrale e orientale attraverso la #NATO e assicurare che ci siano efficaci contromisure alla guerra informatica che la Russia sta intraprendendo”.