L’ultimo rapporto Censis sul Mezzogiorno, pur avendo voluto analizzare alcune
tendenze di fondo della sua economia negli ultimi anni per richiamare l’attenzione
di Governo, parti sociali e opinione pubblica sulle condizioni dell’area meridionale
del Paese, ha mancato tuttavia sia pure in parte l’obiettivo, in quanto l’esame
compiuto non è riuscito a cogliere e a rappresentare i persistenti punti di forza che
caratterizzano tuttora vaste aree del Sud, e dai quali in alcuni casi si sta già ripartendo
per ridare nuovo slancio alle economie locali, naturalmente nell’ambito delle risorse
disponibili e dei limiti normativi che caratterizzano l’azione delle Regioni.
La realtà pugliese
Si consideri, ad esempio, la Puglia: la domanda che ci si pone, leggendo le pagine
del rapporto Censis, è se sia corretto affondarla nel mare indistinto dell’arretratezza e
del tracollo macroeconomico che sta investendo altre zone del Meridione. Chi scrive
ritiene assolutamente di no, e non per una malintesa giustificazione di un ceto di
governo alla guida dell’Ente Regione, ma perché i dati ufficiali certificano una realtà
ben diversa da quella disegnata nel rapporto.
Una crescita superiore alla media del Mezzogiorno
Partiamo dal tasso di crescita pugliese negli ultimi anni. Nel 2010 il Pil regionale,
pari a 70,5 miliardi di euro, è cresciuto dello 0,6% rispetto al 2009 – l’anno della forte
flessione a livello nazionale e locale – a fronte invece di un – 0,2% nel Mezzogiorno e
di un + 1,3% in Italia. La Puglia, dunque, nel 2010 è cresciuta nell’area meridionale
più della sua media, mentre il Sud ha subito una flessione rispetto all’anno
precedente. E tale crescita si è confermata nella regione nel 2011 quando il Pil,
salito a 71,7 miliardi, è aumentato dello 0,7%, mentre nel Meridione ha registrato
una flessione dello 0,4% e nel Paese è cresciuto solo dello 0,4%. L’area regionale,
pertanto, per due anni consecutivi ha consuntivato una crescita del suo prodotto lordo
superiore a quella del Mezzogiorno. E stime attendibili per il 2012 – a fronte di una
flessione del 2,4% a livello nazionale e di una ancora maggiore per il Meridione – non
dovrebbero collocare la contrazione di quello pugliese al di sopra dell’1,5%.
I fattori rilevanti
Ma perché è accaduto che l’indicatore del Pil abbia registrato in Puglia nell’ultimo
triennio un andamento che – pur collocandosi nel difficile macroscenario nazionale
e meridionale – se ne è tuttavia discostato in misura non irrilevante? Per diverse
ragioni così riassumibili: 1) un sostenuto andamento delle esportazioni che nel 2011
hanno registrato un incremento pari al 18,2%, il più elevato del Paese e del Sud, un
trend che si è confermato anche nel 2012 con un + 7,3%, a fronte di un aumento
del 3,7% a livello nazionale e di una flessione dello 0,2% nel Meridione.
La questione Ilva
E si consideri che nel 2012 l’export pugliese – che da oltre un decennio si avvaleva delle
performance positive dell’acciaio dell’Ilva che è giunto in alcuni anni a rappresentare
anche la prima voce dell’export totale – ha registrato una contrazione del 9,4% per quella
voce, a seguito delle vicende giudiziarie che hanno portato dal 26 luglio ai primi di
dicembre al sequestro dell’area a caldo dell’Ilva, anche se la stessa voce dell’export
siderurgico ha comunque consuntivato vendite all’estero per 1,2 miliardi di euro,
quasi totalmente ascrivibili all’impianto ionico. In esso, peraltro, a seguito della
legge 231 del 21.12.2012, sono partiti i lavori per la nuova Autorizzazione integrata
ambientale per un ammontare certo (sinora) di 2,2 miliardi di euro, che si configurano
come il più grande investimento industriale in un solo sito nel Mezzogiorno, dopo
quelli della Fiat a Melfi e dell’Enel nella sua centrale termoelettrica di Brindisi Sud, entrambi conclusi all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso.
Le punte dell’export
La Puglia esporta beni dell’industria agroalimentare e di chimica di base,
farmaceutica, gomma, automotive, aerospazio, mentre flettono quelle del tac e del
mobilio, pur se non scompaiono come qualche economista aveva pronosticato con
analisi troppo frettolose.
Il turismo
E’ cresciuto inoltre il turismo, che è salito dai 2,9 milioni di arrivi del 2008 ai 3,2
del 2011 e da 12,1 milioni di presenze del 2008 al record storico per la Puglia di
13,5 milioni nel 2011, un dato questo sostanzialmente confermato nel 2012, anche
se da indagini svolte a campione su varie tipologie di siti ricettivi diffusi nell’intero
territorio regionale è emersa per l’anno scorso una minore propensione alla spesa
media giornaliera per presenza.
Il mercato del lavoro
Negli ultimi anni pertanto il mercato del lavoro pugliese ha risentito di una fase
congiunturale meno negativa rispetto al Mezzogiorno e all’Italia. I dati Istat infatti
hanno indicato che nel primo semestre del 2012 l’occupazione in Puglia è aumentata
dell’1,15% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, in controtendenza
rispetto al calo registrato nel resto del Paese (-0,4%) e nel Meridione (-0,3%), anche
se il livello attuale appare inferiore di 29.000 unità rispetto al 2008, anno in cui è
iniziata la flessione determinata dalla crisi. La Puglia, peraltro, è risultata la quinta
regione in Italia per incremento occupazionale dopo l’Emilia Romagna, il Piemonte,
il Veneto e l’Abruzzo. La crescita dell’occupazione si è concentrata tra i lavoratori
dipendenti, aumentati dell’1,6%, mentre il numero degli autonomi è rimasto
invariato. Peraltro, in presenza di una forte incertezza del contesto economico, le
imprese hanno aumentato il ricorso a contratti a tempo determinato e a part-time e,
mentre il numero degli occupati fra i 15 e i 34 anni ha subito una flessione dell’1,7%,
si è registrato un incremento tra gli individui di 35 anni e oltre.
Le politiche regionali
Hanno concorso ad un andamento del mercato del lavoro migliore del resto del
Mezzogiorno anche le politiche proattive della Regione, delineate dapprima
nella ‘manovra anticiclica’ varata alla fine del 2008, e poi nel ‘Piano del lavoro’
lanciato nel 2011.
Il patto di Stabilità
La Regione Puglia, peraltro, è in linea con i target di spesa dei fondi comunitari 2007-2013 concordati nel primo trimestre 2012 con il Ministero della Coesione, in un disegno di forte accelerazione reso possibile anche dallo sforamento ‘pilotato’ del Patto di stabilità interno deciso dall’Ente nell’ottobre del 2012 per cofinanziare la spesa dei fondi comunitari, secondo i target concordati. Particolarmente significativi inoltre sono i dati riguardanti le risorse impegnate,
ed in parte già erogate, per le imprese a valere sui fondi comunitari 2007-2013 –
fra contratti di programma, Pia, start- up, Titolo II, etc. – che hanno raggiunto i
2,2 miliardi di euro, contribuendo non poco ad assicurare la tenuta complessiva
delle aziende beneficiate e quella più generale dell’apparato produttivo locale, pur
collocato nello scenario delle crescenti difficoltà soprattutto sul mercato interno.
La crisi del mattone
In realtà, com’è facilmente intuibile, il comparto che sta soffrendo più degli altri, con le
vaste filiere manifatturiere e dei servizi ad esso collegate, è quello delle costruzioni,
a causa del sostanziale blocco della spesa pubblica per il settore e della drastica
contrazione dei mutui erogati dalle banche per l’acquisto di abitazioni. Lo stock di aziende iscritte alle Camere di Commercio fra il 2008 e il 2012 le ha viste passare da 390.353 a 383.592, con una flessione dell’1,73%, che non ha comunque scardinato il numero complessivo di quelle iscritte, che resta oltremodo rilevante a testimonianza della vitalità e dell’intraprendenza di larghe fasce della popolazione locale, pur nelle gravi difficoltà del momento.
Il confronto con le altre Regioni
Insomma, i dati brevemente richiamati consentono di poter dire che la Puglia almeno
ha “resistito” e sta tuttora “resistendo” meglio di altre aree meridionali nella durissima
congiuntura, fra le più difficili dell’Italia nell’ultimo secolo, che sta attanagliando
l’intero Paese. Pertanto nuove analisi del Censis dovrebbero articolarsi più in profondità sui
singoli territori del Mezzogiorno, senza tralasciare indagini specifiche su realtà
regionali che conservano tratti differenziali positivi, grazie anche all’impegno e al
lavoro delle loro classi dirigenti e alla persistente vivacità del mondo imprenditoriale.
Federico Pirro
Università di Bari – Centro Studi Confindustria Puglia