Questa volta sembra che si possa dire che l’accordo religioso tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese sia a portata di mano. Infatti non sono gli avversari dell’intesa, per i quali l’identità si delinea nell’avversione, ma proprio i fautori a sostenerlo. La dichiarazione più importante in tal senso è quella del ministro degli Esteri della Cina di XI Jinping, il quale ha affermato che “la Cina è sincera per quanto riguarda il desiderio di sviluppare relazioni con il Vaticano e sta facendo sforzi positivi. Speriamo che il dialogo tra i due Paesi possa arrivare a sviluppi positivi”.
Le sue parole, riportate dal Global Times, sono state accompagnate dalle dichiarazioni del vescovo Guo Jincal, segretario generale della Conferenza dei Vescovi Cattolici di Cina. Per lui l’accordo, che dovrebbe risolvere l’annosa e delicatissima questione dei criteri di nomina dei vescovi in Cina, potrebbe arrivare in porto già per la fine di questo mese: “I tempi dipendono da dettagli o questioni tecniche”. Sempre il Global Times riferisce però anche la prudenza di alcuni studiosi attentissimi ai progressi ma anche agli ostacoli che permangono. Uno di questi studiosi, Wang Meixiu, ha infatti sottolineato che oltre all’accordo quadro, che regolerebbe le nomine di qui in avanti, c’è il problema di sette vescovi nominati da Pechino senza il consenso di Roma. E a suo avviso un’intesa su questo punto, anche separata magari, rimane complessa.
Ma le parole del capo della diplomazia cinese difficilmente possono essere giunte in assenza di un qualche progresso concreto, sebbene è evidente a tutti, a cominciare da lui stesso, che non parli di soluzioni trovate.
Se poche ore fa ha parlato il ministro degli Esteri cinese, nei giorni trascorsi ha parlato il ministro degli Esteri della Santa Sede, e proprio sulla questione cinese. Intervenendo al simposio internazionale promosso dall’Università Gregoriana su “Cristianesimo in Cina, interazione ed inculturazione”, monsignor Gallagher ha parlato partendo dal grande interesse di Pechino per il progetto della nuova Via della Seta, un progetto infrastrutturale di portata epocale e che indica la nuova visione cinese di una globalizzazione in cui la Cina svolga un ruolo centrale. Questo progetto, fondamentalmente euroasiatico, va poi collegato alla crescente presenza cinese nei paesi in via di sviluppo. Dunque possiamo dire che il mappamondo di Matteo Ricci, quello con cui il grande gesuita andato a vivere in Cina disegnò per la prima volta tutti i Paesi del mondo per i cinesi e in cinese, ora è una priorità dell’agenda politico-culturale.
Parlando di evangelizzazione, vera priorità dell’intesa con la Cina, monsignor Gallagher ha messo in guardia da due rischi: “Il primo rischio è il proselitismo, che misura il successo della missione in termini di numeri più che di qualità della scelta di chi viene in contatto con l’esperienza cristiana. Il secondo è quello di un’astratta proclamazione della fede, che porta a non tenere conto della complessa natura sociale e culturale del contesto umano al quale il messaggio evangelico è rivolto”. Dunque una missione basata sull’inculturazione deve partire da qui.
La missione della Chiesa è quella di essere pienamente cattolica e genuinamente cinese, per cui è chiaro che inculturazione e iniziazione non possono essere prospettive separate. È questa la prospettiva che rende fondamentale l’accordo sui criteri di nomina dei vescovi in Cina, senza pretendere di arrivare di colpo lì dove siamo in Italia e in altri Paesi cattolici. Un possibile accordo sul naturale gradimento di Roma, ma anche accettabile a Pechino, non sorprenderà nessuno che ricordi il concordato sui criteri di nomina dei vescovi tra papa Pio VII e la Francia di Napoleone. Quell’accordo fu firmato il 13 settembre del 1801.