Mai così polarizzati. Lo confermano diverse, e sempre più numerose, analisi empiriche sull’orientamento politico degli elettori, negli Usa e in Europa. Di più, come ha scritto Matthew Gentzkow della Stanford University, nel saggio Polarization 2016, negli Usa la distinzione tra i due campi si è fatta più nitida nel corso del tempo e ha riguardato un numero crescente di temi politici, diventando sempre più un fatto personale, per il quale gli avversari sono “privi di intelligenza ed egoisti, con visioni così perverse da poter essere spiegate soltanto da un’inimmaginabile idiozia o peggio da ulteriori pericolose motivazioni. In ogni caso, li riteniamo un grave pericolo”.
Insomma, la polarizzazione cresce e si fa personalizzazione. Dappertutto. Non c’entra (solo) Trump, più epifenomeno che causa. Una survey di YouGov mostrava già nel 2008, infatti, la drammatica crescita negli Stati Uniti, rispetto al 1960, di quanti, democratici o repubblicani, si dichiaravano contrari ad avere in famiglia qualcuno che sposasse un simpatizzante della parte politica opposta. Indovina chi (non) verrà a cena. La spinta polarizzante si autoalimenta e genera, sulla spinta delle emozioni, non solo disinformazione e notizie false, ma discorsi antagonisti e di odio. Nel novembre del 2016, Steven Rosenbaum, su Forbes, commentava: “Qualcosa è cambiato. Il free speech ha cambiato forma in hateful speech”.
Su Time, Akash Goel e Andrew Goldstein definivano “epidemiologia dell’odio” la retorica della campagna elettorale di Trump, “piena di odio, misoginia, xenofobia e razzismo”. Un’animosità politica che, secondo il PeW center, ha raggiunto il culmine nel corso delle e presidenziali del 2016 per mantenersi ancora oggi. Questo sentiment dell’elettorato si riflette nel comportamento in aula dei rappresentanti politici, anch’essi sempre più polarizzati secondo David Chouinard che ha misurato il crollo dei progetti di legge bipartisan negli Usa dal 1989 ad oggi: come si può discutere e progettare insieme in aula, quando la polarizzazione politica è così estremizzante ed emozionale? Il problema è che al crescere della polarizzazione dei messaggi politici cresce anche l’irrilevanza dell’elettore mediano e del suo ruolo sociale, lasciando assai indietro l’attenzione al merito delle politiche pubbliche.
Il tema per il pluralismo che pone oggi la polarizzazione dell’agorà politica, sui vecchi e nuovi media, non è tanto il mancato accesso a fonti informative o l’opportunità di diffondere di posizioni politiche, quanto la distruzione di luoghi credibili e comuni in cui discutere e confrontarsi sul merito. E così l’elettore mediano è quasi scomparso, facile preda di narrazioni ed emozioni che lo spingono ai poli estremi. Scomparsi i dibattiti tra candidati di opposte fazioni, i media tradizionali finiscono per replicare, talvolta con precise linee politico-editoriali, il modello dell’autoreferenzialità, del pregiudizio di conferma, delle camere d’eco, dell’esposizione selettiva tipico della Rete, per il quale ciascuno parla a coloro che già gli danno ragione, aggiungendo benzina al fuoco della polarizzazione.
Non a caso una ricerca del 2018, appena pubblicata da Agcom, conferma che la polarizzazione conta anche nella scelta della fonte informativa nei mainstream media, ancora oggi il principale strumento di informazione per gli italiani. D’altra parte, se dall’orizzonte degli argomenti scompaiono le politiche e resta solo l’emozione, occorre allora chiedersi, con Cass Sunstein, se non serva oggi un nuovo paradigma del pluralismo informativo che passi anche dalla depolarizzazione del confronto politico.
Il caso Cambridge Analytica mostra la rilevanza della profilazione del dato a fini di propaganda politica. Ma non c’è solo la Rete sul banco degli imputati. Ci sono tutti quelli che, in ogni occasione e con ogni strumento di comunicazione di massa, segnano il campo in opposizione agli altri. Se urliamo le nostre verità a coloro che hanno smesso, da tempo, di ascoltarci, lo specchio delle brame finirà per restituirci, appunto, soltanto le brame. Troppo, o troppo poco, per governare la complessità.