I motori sono caldi in vista delle consultazioni che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella inizierà già nelle prossime ore. Le difficoltà politiche sono sotto gli occhi di tutti, dal preciso momento in cui si sono appresi i risultati elettorali. In un sistema parlamentare dove non c’è una maggioranza omogenea è difficile trovarla; ed è pressoché impossibile dire di cercarla quando si sostengono posizioni estreme o assurde.
In questa peculiare situazione due linee sono state estremamente chiare e comprensibili: la prima è quella del Pd, perdente alle elezioni, che si è giustamente ritagliato un ruolo di opposizione responsabile; la seconda, quella del centrodestra, coalizione vincente, il quale ha voluto da subito, per bocca di Matteo Salvini, dimostrare unità e apertura alla collaborazione.
In mezzo sta il M5S. Da principio si è capito che non vi era in Luigi Di Maio nessuna volontà concreta di rendere possibile la nascita di un esecutivo: dichiarare, come è stato fatto, che si pretende tutto perché si è ottenuto poco più del 30% non è, infatti, palesare un atteggiamento costruttivo.
Da qualche giorno, in aggiunta, il Movimento ha cominciato a mettere paletti su Forza Italia, fino a quando, si è appreso poco fa, Di Maio ha rivelato che sosterrà al capo dello Stato una pregiudiziale anti berlusconiana. Il che equivale ad una schizofrenica apertura al Pd, oltre che alla Lega, e ad una totale chiusura verso i forzisti.
A prescindere dalle reazioni di totale indisponibilità che vi saranno di certo da parte di Salvini e Martina, quello che colpisce è la completa mancanza di un sia pur minimo senso di responsabilità verso il bene comune.
La campagna elettorale è finita, anche se sembra che Di Maio voglia farla ripartire già, prima ancora di salire al Quirinale, noncurante del bisogno che il nostro Paese ha di avere presto un governo. Ognuno ha diritto di scegliere quello che vuole fare in democrazia, ma la mancanza di senso dello Stato appare lampante quando l’egoismo di parte rende miopi a qualsiasi tipo di logica del compromesso.
È evidente che dire di voler governare con Pd e Lega è come dire di non voler governare affatto. E questo atto, se fosse confermato come sembra, farebbe regredire il M5S alla logica settaria del “tutto o niente” della scorsa legislatura, poi finita con il “poco o niente” elettorale delle Europee dell’anno successivo.
I tempi saranno lunghi e si può sperare in un dietrofront grillino. In ogni caso, mai il Pd andrà con la Lega, nonché – ma quest’ultima è una lecita speranza personale del sottoscritto – mai il centrodestra opterà per una frantumazione interna, la quale indebolirebbe il sistema e tradirebbe gli elettori che sono tornati a votare dopo anni di astensione un programma unitario liberale e conservatore.
Speriamo quantomeno che la satira non finisca in farsa. Perché in questo caso per i grillini sarebbe davvero ripartire da capo.