Non è stato un inizio “soft” quello di Enrico Mentana al Sum 02. Prendendo la parola dal palco di Ivrea, intervistato da Gianluigi Nuzzi, ha preso subito le difese di Jacopo Iacoboni, cronista della Stampa che è stato lasciato fuori dalla kermesse di Casaleggio. “Non si può lasciare fuori un giornalista”, commenta il direttore del Tg di La 7, accreditando la tesi dello storico quotidiano di Torino, per cui al cronista è stato negato l’accesso per “ragioni personali”. Ma la versione di Nuzzi e dell’ufficio stampa è diversa: “è un cittadino come tutti noi, è stato trovato con un badge non suo”. Dopo un attimo di silenzio in platea, Mentana recupera subito l’entusiasmo e l’affetto del pubblico riempiendo la sala di applausi, per poi tornare ad essere sommerso di “selfie” dai passanti. A margine dell’incontro Formiche.net lo ha intercettato per chiedergli chi firmerà, a suo parere, il contratto di governo lanciato da Luigi Di Maio.
Direttore quanto è cambiato il Movimento 5 Stelle dalla prima edizione del Sum?
Moltissimo. Questa edizione capita in un momento cruciale: se prima pattinavano sulle uova ora cercano di stare più attenti, camminano sulle punte con la massima circospezione. Sanno bene di essere in una fase decisiva. E per la prima volta si misurano con dei seri rischi.
Quali?
Fino ad oggi hanno potuto fare il movimento acchiappatutto: quello contro i vaccini e per i vaccini, a favore di Maduro e della sua opposizione, di Putin e dell’Alleanza Atlantica. Man mano che si avvicina il tempo delle responsabilità e dei programmi bisogna prendere una posizione, e contemporaneamente scegliere una tattica che porti a un accordo di governo. Le aperture, le finte e le risposte che vediamo in questi giorni sono un gioco nuovo ai Cinque Stelle.
In questi giorni c’è chi parla di un piano B della Lega: trovare una convergenza con il Pd una volta recuperata l’unità del centrodestra. Sarebbe saggio escludere un partito con il 32% dal governo?
Noi non siamo tifosi, questa è la loro partita. Non è mai salutare in democrazia tenere fuori la prima forza del Paese, anche solo in termini strumentali, perché un accordo fra forze così diverse ovviamente rischia di rafforzare l’opposizione.
Unire le forze contro i pentastellati può essere un autogol?
Se gli altri partiti si mettessero tutti insieme, con una coalizione così frammentata, con l’unico scopo di escludere Di Maio dal governo per i Cinque Stelle sarebbe un albero della cuccagna.
Berlusconi, Salvini e Meloni hanno annunciato di voler presentarsi uniti al prossimo giro di consultazioni con Mattarella. La coalizione ha ritrovato la sua unità o è solo una mossa di facciata del leader leghista?
Direi che è soprattutto una mossa di interesse. Di Salvini nei confronti dei Cinque Stelle, per far vedere che non conta il suo 17% ma il 37% della coalizione. Se andasse da solo dai pentastellati sarebbe per forza, come dicono tutti, anche quelli che non sanno l’inglese, uno “junior partner” e palazzo Chigi rimarrebbe un sogno. Divenendo il capo della coalizione invece si rafforza, Berlusconi rimane in gioco e con lui anche la Meloni. Berlusconi però pagherebbe il prezzo di una foto di gruppo in cui, uscito dal Quirinale, mentre Salvini racconta cosa ha detto Mattarella, si ritrova al suo fianco, come se fosse un semplice capogruppo al Senato.