L’Europa combatte col dilemma Brexit e con le pericolose fughe in avanti dei Paesi approdati a Bruxelles dall’ex-cortina di ferro. Ed è coinvolta in pieno nell’aspra guerra dei dazi scatenata da Donald Trump contro lo spauracchio Cina, che reagisce a modo suo, cioè altrettanto duramente. In questa convulsa epoca segnata da protezionismi, egoismi, muri e separazioni, una lieta sorpresa arriva dall’Africa, sempre più “Giano bifronte”: arretratezza, corruzione, drammatico deficit di democrazia da un lato; crescita economica e speranza in un futuro finalmente plasmato dalle nuovi classi imprenditoriali emergenti dall’altro.
La svolta – o la possibile svolta, visto che nel continente nero tutto va attentamente vagliato alla prova dei fatti – pochi giorni fa a Kigali, capitale del piccolo ma dinamico Ruanda. Nasce un’ immensa area di libero scambio – la più grande e importante dall’ istituzione del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio – che comprende 44 paesi africani su 55, circa un miliardo di persone. ‘AfCFTA’ – ‘African Continental Free Trade Agreement’ – si chiama questo promesso patto della ‘rivincita’, che eliminerà dazi alle importazioni e barriere tariffarie sul novanta per cento delle merci che i firmatari si scambiano. Sul restante dieci per cento di prodotti “sensibili” si agirà in una seconda, prossima, fase. Mancano per ora all’ appello – tuttavia – undici stati, alcuni assai rilevanti, in testa i due giganti Nigeria e Sudafrica, che guidano e trainano l’ economia africana. ll presidente della UA Moussa Faki, che parla di “storico passo avanti, di tappa fondamentale verso l’ integrazione del continente”, confida di superare resistenze e diffidenze nel prossimo vertice africano, a luglio in Mauritania. Chissà se il salto definitivo verrà davvero spiccato.
Fino ad oggi gli 84 mila chilometri di frontiere che dividono l’ Africa hanno contribuito a rendere modesto lo scambio commerciale interno: appena il diciassette per cento del totale. La gran parte delle merci – pesano l’ eredità coloniale e l’ assenza di una vera industria moderna, ancora una rarità – giungono dalla dominante Cina (primo partner commerciale, un’ invasione incontrastata la sua), dai paesi europei in ordine sparso, dagli Usa e dal Medio Oriente. È un’ assoluta priorità, per l’Unione Africana, attivare e rafforzare la nuova area di libero scambio, allargandola all’ intero continente. La totale abolizione dei dazi non potrà che favorire lo sviluppo della manifattura locale e il superamento di un sistema economico asfittico, perché troppo dipendente dall’export delle materie prime, i cui proventi vanno in minima parte ai produttori a causa dei rapaci filtri di molti dei governi africani e dei troppi despoti che ancora costituiscono un insormontabile tappo alla diffusione del benessere e all’ avvio della redistribuzione della ricchezza.
L’avanzata economica degli ultimi dieci anni non è valsa a provocare una riduzione delle sterminate fasce di povertà, anche per lo straripante incremento demografico. Nei primi mesi del 2018, 420 milioni di africani vivono ancora nettamente al di sotto della soglia minima di povertà. Sono un terzo della popolazione continentale. E l’ immigrazione incontrollata non si ferma. Solo realizzazioni come quella che abbiamo descritto in estrema sintesi possono mutare lo scenario in tempi ragionevolmente brevi, accelerando il riscatto del continente più disagiato e più sfruttato.