La tattica politica seguita da Luigi Di Maio (M5S) durante le consultazioni al Quirinale e in queste ultime ore non è risultata di certo apprezzabile nel momento in cui ha affermato: “al governo con la Lega o Pd, non con Forza Italia”, allo stato è ancora su questa linea, chiedendo per sé stesso sostegno per un probabile futuro governo. Si spera che abbia capito almeno il senso delle sue parole. Si, perché allearsi con la Lega vuol dire avere in mente una idea di Paese ben chiara, andare col Pd, invece, è l’opposto di quella idea. Emerge evidente una marcata vena di qualunquismo. Le forze politiche non sono neutre, hanno anima, cultura, programma, faro di orientamento nelle scelte, se poi il M5S si ritiene estraneo a questi paradigmi bisogna prenderne atto, come pure bisogna registrare che il movimento grillino, se ha in mente di applicare una nuova grammatica alla politica italiana, per realizzarla deve avere il consenso necessario. Inutile farsi illusioni, la politica senza cultura, senza cultura giuridica e istituzionale non produce un bel niente. Manca questa connotazione alla politica d’oggi: incolta, anonima, urlata, divisiva: scaturigine di un processo durato più di un ventennio, la cui ultima tappa del percorso, quella odierna, sta dimostrando tutta la sua debolezza, incapacità e incompetenza.
I più avveduti politicamente ritenevano che superata la ignobile e triste fase della rivoluzione giudiziaria aperta dalla Procura di Milano nel 1992/94 l’Italia potesse recuperare una condizione di normalità sul piano culturale, etico-politico. La storia degli anni successivi dice che il cammino è stato diverso, la situazione è peggiorata, per la politica e per gli italiani, evidenziando che le attuali forze politiche sono affette da evanescenza, inconcludenza, carenza di identità. Giorno dopo giorno hanno smarrito la cognizione di bene comune. Hanno snobbato aspetti essenziali quali erano considerati il pensiero e la partecipazione degli iscritti alla vita del partito, annullando in tal modo la consolidata azione dei partiti storici, che vivevano di democrazia interna.
Il ventennio alle nostre spalle, caratterizzato dal berlusconismo e dal sinistrismo nuovista di occhettiana memoria, è tramontato. La caduta del Muro nel 1989 e il dissolversi come neve al sole della rivoluzione liberale annunciata nel 1994 da Silvio Berlusconi confermano che né la sinistra social-comunista né la destra nazional-radicale-liberale hanno avuto la capacità di guidare il futuro dell’Italia. E nella prateria lasciata vuota, e tutta da percorrere, nessuno è riuscito ad occupare il vasto spazio, consentendo che un grumo di populisti, sovranisti, qualunquisti e opportunisti inventando ibridi, ircocervi, sigle fantasiose, che non significano un bel nulla, sta tentando di far credere agli italiani che il nuovo ormai si è materializzato, e tutti devono sentirsi toccati dalla gioia, perché è emerso finalmente il paese di bengodi. E a questo spartito i soggetti in campo continuano a guardare, in primis il M5S e la Lega.
Gli italiani però non sono ciechi, sanno di stare in una realtà cruda e amara, fatta di promesse mancate, non mantenute, di opacità, di scarsa trasparenza, di saccheggio delle risorse pubbliche, di scelte di governo bislacche e cervellotiche, fino a far precipitare il Paese in una crisi che oggi è più grave di ieri. Oggi si tirano le somme di un bilancio di vent’anni, iniziato con la menzogna di una rivoluzione giudiziaria che doveva fare piazza pulita del malaffare, e che invece è stata solo un’arma violenta per abbattere coloro che avevano costruito la democrazia repubblicana e che avevano praticato con invidiato successo paradigmi di economia mista. Con quali risultati? Quelli che sono sotto gli occhi di tutti e che rendono poco tranquilla la vita degli italiani. Partiti senza idee, senza programmi, senza organizzazione, le cui caratteristiche poggiano solo sull’immagine di un capo non garantiscono governabilità nella stabilità al Paese. La sintesi delle consultazioni del Presidente Mattarella di questi giorni sta lì a confermarlo. Non possono essere gli attuali protagonisti a predicare la buona novella e a dire noi abbiamo i numeri e la ricetta per cambiare la politica italiana. Bisogna però prendere atto che sono questi gli attori che stanno sul palcoscenico. E allora, Renzi, Salvini, Di Maio, Meloni farebbero bene ad usare almeno le virtù dell’umiltà e della prudenza, prima di avventurarsi a parole verso la fantomatica nuova frontiera.