La politica una volta aveva una sua grammatica, una semantica codificata, linguaggi che somigliavano a quelli della comunicazione non verbale ma che avevano una loro sintassi stringente. Quasi uno stigma scientifico. Oggi non si sa. Per esempio: questo strano balletto tra Salvini e Di Maio, interpuntato da perline d’amorosi sensi, mentre, però, rischiano lo strabismo di Venere strizzando gli occhi ai sodali del centrodestra da un lato e al Pd dei renitenti dall’altro, per una grammatica politica collaudata avrebbe potuto significare solo una cosa: hanno in tasca l’accordo per governare insieme e stanno a fare un poco d’ammuina.
Perché Salvini un pò di soddisfazione la deve pur dare ai suoi alleati e poi, quando si porta appresso tutto il centrodestra, può rivendicare la sua leadership d’area e la primazia elettorale per negoziare a suo favore. Di Maio, invece, ha studiato – solo un ripasso veloce, in verità – i due forni di Andreotti e sa bene che, solo se si porta dietro tutto il Pd può contare su numeri sufficienti per governare e quei numeri, anche se puntasse sulla (improbabile) scissione dei democrat, non ci sono perché Renzi glieli farà mancare sempre.
Dunque, in mancanza di altre sponde l’unica quadratura possibile del cerchio di governo sarebbe quella del menage pop: Lega-Cinque Stelle. Ma andrà veramente così? Qualche dubbio ci sarebbe. Intanto per l’assetto asimmetrico delle due forze in campo: i Cinque Stelle hanno avuto quasi il doppio dei voti e dei seggi della Lega e difficilmente rinuncerebbero alla egemonia nel governo, a partire dal Presidente. Anche perché il corpo elettorale pentastellato, svezzato con le parole d’ordine definitive e “a vocazione maggioritaria” dei suoi capi, ben difficilmente accetterebbe leadership di governo diverse da Di Maio senza congetturare su inciuci e tradimenti. D’altro canto Salvini, restringendo l’opzione di governo solo a Di Maio, mette nel conto che un Esecutivo 5 Stelle-Lega ad egemonia grillina, con una maggioranza di partenza di solo 35 deputati e 14 senatori, e l’opposizione di quasi la metà del parlamento, rischierebbe di costargli molto più di quanto non prometta di fargli guadagnare: governare non porta solo benefici, anzi, e se non sei manco tu il capo perché farlo?
Allora, che grammatica politica stanno adoperando Gigino e Matteo? La verità è che entrambi sono schiacciati sull’unica opzione dell’abbraccio, come nel murale che li immortalava nel bacio brezneviano. A meno di un improbabile ripensamento dei pentastellati sull’apporto di Berlusconi, peraltro già apprezzato al Senato con il voto alla presidente Casellati. Ma l’opzione del co-governo non prevede un’egemonia bicefala. Dunque pensare a consultazioni labirintiche con giri a vuoto per un altro po’ non è difficile. Pensare che alla foce di questo tran tran ci sia un governo di minoranza estraneo alla politica, non è un’eresia. Su una cosa, però, c’è da scommettere, ovvero che Matteo e Gigino siano già d’accordo: smantellare il Rosatellum per fare una legge elettorale maggioritaria. Come l’Italicum.