Lo stato di salute della democrazia, la crisi delle istituzioni e la minaccia illiberale, il ruolo di social media e algoritmi nelle campagne elettorali del nuovo millennio, in piena era della post-verità. Di questo si è parlato oggi al Centro Studi Americani, nell’ambito della prima giornata del seminario “Democracy under attack”, organizzato in collaborazione con la Loyola University di Chicago, l’Università di Oxford, il King’s College di Londra, l’Università di Bologna e l’Ambasciata Americana in Italia.
Tra gli speaker dell’evento c’era anche Matthew Goodwin, professore di Relazioni internazionali all’Università di Kent e associate fellow di Chatham House, con il quale ci siamo confrontati per capire quali rischi corre la democrazia nell’era delle fake news e della post-verità.
Professore, cosa rischiano i regimi democratici oggi? Quali sono le sfide che devono affrontare?
Sicuramente l’ascesa del populismo nel mondo occidentale rappresenta una sfida non indifferente per i sistemi democratici. I movimenti populisti infatti si fanno portatori di un’idea diretta di democrazia, piuttosto che di una concezione liberale del sistema democratico. C’è inoltre una crescente polarizzazione politica, gli elettori la pensano sempre più diversamente tra loro rispetto a certi temi. Infine un altro dato preoccupante è il crescente livello di apatia che si sta diffondendo tra gruppi chiave della società, per esempio tra la classe operaia e tra coloro che il sistema politico non li rappresenta più.
A proposito di populismo. Che pensa dei recenti risultati elettorali in Europa, in Ungheria pochi giorni fa e a inizio marzo in Italia le forze cosiddette populiste hanno incassato delle vittorie importanti. Il populismo vince ancora in occidente?
Sicuramente il populismo sta godendo di risultati importanti in tutta Europa. Ciò pone i partiti mainstream di fronte a una situazione complicata, i partiti populisti sono sempre più spesso di coalizioni di governo e ottengono sempre più posti nei parlamenti nazionali. Nel caso della Gran Bretagna abbiamo addirittura visto che sono riusciti prima a imporre un referendum e poi a condizionarne l’esito, facendo vincere la Brexit. Per non parlare degli Stati Uniti, dove Trump siede alla Casa Bianca. Quindi, nel complesso, direi che certamente stiamo assistendo a una nuova ondata populista e i partiti social-democratici tradizionali non sembrano avere una risposta a questo trend mentre quelli di centro-destra sono più interessati a emulare le posizioni dei populisti piuttosto che a combatterle.
Con i partiti populisti così diffusi e presenti ormai in molti Paesi, a tutti i livelli di governo, non dovremmo forse ridefinire il concetto di populismo. Forse è la politica stessa che è cambiata e deve cambiare anche il linguaggio degli osservatori…
Forse, ma penso che il populismo sia uno stile, un’ideologia che ha delle specifiche caratteristiche che la differenziano dalle ideologie politiche tradizionali. Quindi non basta che i populisti siano più prominenti per dire che il centro di gravità della politica si è spostato verso di loro, ma sicuramente i populisti sono diventati più abili a sfruttarlo per raggiungere i propri obiettivi. Anche i partiti mainstream stanno diventando in qualche modo più populisti, ma penso che assistiamo a una transizione da una concezione tradizionale e liberale della democrazia basata sul dibattito e sul compromesso e da una pluralità di interessi e verso una concezione delle democrazia che è molto più diretta, l’aumento del numero dei referendum ne è un sintomo caratteristico.
Che ruolo ha il web in questa transizione? Sappiamo che oggi la rete è sempre più importante e che pone degli interrogativi rispetto al suo impatto sulla politica, ma quale sarà il suo ruolo nel lungo periodo? Finirà per rafforzare la democrazia o per soppiantarla con qualcos’altro?
Alla luce dell’esperienza accumulate sinora possiamo dire sicuramente che la rete e i social media e in particolare i social media favoriscono la polarizzazione del panorama politico. Sempre più persone votano in un modo piuttosto che in un altro a seconda di quello che vedono in rete. Il web spesso serve a confermare quello che le persone già pensano. Vent’anni fa gli elettori guardavano la tv di Stato e erano esposti a una pluralità di idee, in competizione tra di loro. Ora invece le persone che si informano online spesso non sono neanche sfiorate da idee diverse da quelle che già hanno. Non c’è quindi più un vero mercato del libero scambio delle idee, che è poi il sale della democrazia.