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Come procede la lotta all’Isis in Siria e Iraq. Parla Felix Gedney (Inherent Resolve)

L’Isis sta capitolando, è vero. Ma guai ad abbassare la guardia. I combattenti dello Stato islamico controllano ancora alcune porzioni di territorio tra Siria e Iraq, e sembrano decisi a portare avanti un tentativo disperato per mantenere la propria offensiva. Parola del major general dell’Esercito britannico Felix Gedney, vice comandante per Strategy and support (S&S) della task force di Inherent Resolve, l’operazione a guida statunitense che combatte l’Isis dal 2014. Ora, ha spiegato il generale, la vera sfida è stabilizzare le aree liberate e trovare una soluzione di lungo periodo per le centinaia di foreign fighters in stato di detenzione in Siria. Ci sono poi le preoccupazioni per l’offensiva turca contro i curdi, mentre non sembra impensierire il rischio di escalation tra Russia e Occidente dopo l’attacco a guida statunitense contro il regime di Assad.

COME PROCEDE LA BATTAGLIA SUL CAMPO

“Le Forze democratiche siriane (Sdf) continuano a securizzare le aree liberate nel nord e nell’est della Siria”, ha spiegato Gedney. Ad ora, ha aggiunto, restano “porzioni di territorio in cui Daesh mantiene il controllo, in particolare ad Hajin e Dashisha, vicino al confine con l’Iraq”. Si tratta comunque di “una piccola frazione dell’area controllata dall’Isis nel 2014; la zona a est del fiume Eufrate è sicura, stabile e in pace”. In questi territori, ha rimarcato il vice comandante di Inherent Resolve, “proseguono le attività di rimozione delle centinaia di dispositivi improvvisati e trappole esplosive lasciate dai combattenti dello Stato islamico”. In Iraq, le operazioni sono invece in una fase più avanzata, dedicata ad assicurare “sicurezza e stabilità”. Nel Paese, “Le Forze di sicurezza irachene continuano a condurre operazioni contro il Daesh ovunque tenti di nascondersi”. In particolare, “nelle ultime settimane, le Forze irachene hanno scoperto e sgomberato diversi depositi contenenti mortai, razzi, dispositivi esplosivi, e catturato molti esponenti dell’Isis”. A Kirkuk, ad esempio, “la Polizia federale ha scoperto un tunnel sotterraneo che correva sotto la scuola e vi ha recuperato diversi armamenti”.

LA STRATEGIA DEL DAESH

Non è però ancora il momento di gridare vittoria. “Controlliamo attentamente il nemico ed è chiaro che c’è un tentativo sempre più disperato da parte dell’Isis di mantenere l’offensiva” e proseguire “la propria strategia contro le operazioni travolgenti della coalizione” che, negli ultimi anni, hanno liberato “oltre 100.000 chilometri quadrati di territorio e circa 7,7 milioni di persone”. Intanto proseguono, “su base giornaliera”, le operazioni volte a scovare la “leadership senior del Califfato”, compreso Abu Bakr al-Baghdadi. “Quando lo troveremo, lo saprete”, ha assicurato il generale britannico. Una preoccupazione “particolare” riguarda invece le centinaia di foreign fighters attualmente detenuti in Siria dalle Sdf. “C’è un urgente bisogno – ha detto Gedney – di trovare una soluzione a lungo termine per garantire che queste persone non diventino di nuovo una minaccia per le nostre nazioni e per il mondo; in particolare, dobbiamo assicurarci di migliorare le strutture di detenzione”.

UN APPROCCIO A FASI

Difatti, ha spiegato il generale britannico, “la liberazione delle aree controllate dal Daesh è solo una parte del lavoro”. Fondamentale sarà “stabilizzare queste aree e consolidare ciò che abbiamo ottenuto”. Si tratta dunque di un approccio a due fasi. Se da un lato proseguono le operazioni defeat (fase 3 di Inherent Resolve, dopo degrade e counterattack), si lavora sul support stabilization (fase 4). “I successi sono evidenti”, ha detto il generale Gedney. “Da dicembre, in Iraq, le Forze di sicurezza hanno condotto dieci grandi operazioni e stanno eseguendo a rotazione circa 20 operazioni a livello di brigata ogni settimana”. Gli iracheni “stanno uccidendo e catturando un ampio numero di terroristi; scovano e distruggono nascondigli e depositi con una frequenza quasi quotidiana”. Tutto questo “rassicura la popolazione e mostra la grande capacità che hanno sviluppato”.

IL RUOLO DELL’ITALIA

Ma il supporto alla stabilizzazione passa anche attraverso l’addestramento delle forze di sicurezza locali, un’attività che in Iraq vede l’Italia in prima linea all’interno della coalizione anti-Daesh. Il nostro Paese partecipa con la missione “Prima Parthica”, che vede coinvolte attualmente circa 1.500 unità, a cui si aggiungono 390 mezzi terrestri e 17 mezzi aerei. I militari italiani si occupano soprattutto di addestrare le forze di sicurezza curde e irachene, attività che si concentrano rispettivamente nel Kurdistan e a Baghdad. A ciò si aggiunge il lavoro della task force Presidium, posto a protezione della diga di Mosul in accordo con le autorità irachene. “Posso dire – ha spiegato Gedney – che l’Italia è un grande contributore della missione a un membro importante del supporto militare alla coalizione”. In particolare, “è leader nell’area dell’addestramento delle Forze di polizia, che rappresenta un’altra parte critica di quello che stiamo fornendo per la futura sicurezza dell’Iraq”.

IL RISCHIO DI ESCALATION IN SIRIA E LA PREOCCUPAZIONE PER LA TURCHIA

Sulla lotta all’Isis, non sembra comunque preoccupare il rischio di escalation in Siria dopo l’attacco a guida americana in risposta al presunto utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Assad. “Non rientrano nelle operazioni della coalizione”, ha spiegato il vice comandante. “Il nostro obiettivo è sconfiggere l’Isis ed è un’operazione completamente differente”. Le frizioni tra Mosca e l’Occidente dunque “non impattano sulle nostra attività; durante il periodo dei bombardamenti abbiamo mantenuto un processo di deconfliction professionale ed efficiente con la Russia, e ciò non cambia”. Maggiore preoccupazione desta invece l’attivismo anti-curdo della Turchia a nord della Siria. L’operazione “ramo d’ulivo”, con cui i turchi hanno occupato la città curda di Afrin, “ha causato per noi alcune sfide e preoccupazioni; notiamo – ha concluso il generale Gedeny – che i nostri parnter nella lotta all’Isis sono stati distratti e, nel frattempo, rimaniamo preoccupati per il gran numero di sfollati provenienti da Afrin, circa 137mila secondo le Nazioni Unite”.


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