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Spese militari, come si sposta l’equilibrio del mondo. L’ultimo report Sipri

Il nuovo epicentro della competizione globale è l’Asia. A suggerirlo era già stato Barack Obama con il suo pivot to Asia, mentre a confermarlo è stato Donald Trump con l’attenzione alla Corea del Nord e le frizioni commerciali con Pechino. Ora, però, è arrivata la certificazione dell’autorevole Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), che ha rilasciato il report annuale sulle spese militari mondiali. Nel 2017, si sono spesi 1.739 miliardi di dollari per la difesa, in aumento dell’1,1% rispetto all’anno precedente. A spingere i dati è stata soprattutto l’Asia; negli ultimi dieci anni la spesa miliare cinese è aumentata del 110%, mentre quella indiana del 45% e quella turca del 46%. Considerando il peso sul Pil, fa impressione il dato saudita. Il Regno ha destinato nel 2017 il 10% del proprio prodotto interno lordo alla difesa, in linea con il potenziamento del settore predisposto dall’erede al trono Mohammed Bin Salman con la sua Vision 2030. A giocare un ruolo determinante sui trend globali, è però Pechino. L’assertività cinese e le frizioni con molti Stati vicini sembrano aver generato una vera e propria militarizzazione della regione, fenomeno comune al Medio Oriente per le ovvie ragioni di conflittualità interna.

REGIONI DEL MONDO A CONFRONTO

Nel suo complesso, la spesa militare è valsa nel 2017 il 2,2% del Pil globale, lontana dal 3,3% dei livelli della Guerra fredda, ma comunque in aumento rispetto agli anni passati. Piuttosto indicativi i dati regionali. Dal 2016, la spesa militare africana è diminuita dello 0,5%, mentre quella europea del 2,2%. Se per l’Africa si tratta del terzo anno consecutivo di riduzione, per il Vecchio continente è il primo dal 2013. Sostanzialmente invariata la spesa dell’America, sebbene sia dell’11% più bassa rispetto al 2008. A trainare i numeri è dunque l’Asia (considerata insieme all’Oceania) con una crescita annua registrata per il 29esimo anno consecutivo. Questa volta si tratta di un +3,6%. Sebbene Cina e India guidino il continente, la crescita percentuale nella spesa di altri Stati consegna la vera dimensione della militarizzazione della regione. Dal 2008, la spesa militare della Cambogia è cresciuta del 332%, quella del Bangladesh del 123% e quella dell’Indonesia del 122%. “Le tensioni tra Cina e molti dei suoi vicini continuano a guidare la crescita spesa militare in Asia”, ha spiegato Siemon Wezeman, ricercatore senior Sipri. Ad ogni modo, è comunque il Medio Oriente a presentare la crescita annua più significativa, pari al 6,2% rispetto al 2016.

I TREND GLOBALI

I primi 15 Paesi al mondo per spesa militare restano invariati rispetto al 2016, con 1.396 miliardi di dollari spesi sui 1.739 di tutto il mondo. Al primo posto si confermano gli Stati Uniti, con 610 miliardi di dollari, pari al 35% della spesa militare mondiale e al 3,5% per proprio Pil. Washington è saldamente al comando e stacca ampiamente tutti gli altri con una spesa che è 2,7 volte superiore al secondo arrivato: la Cina. Anche per Pechino si tratta di una conferma, con 228 miliardi di dollari nel 2017, frutto di un aumento del 110% dal 2008. Completa il podio l’Arabia Saudita, che si riappropria del terzo posto dopo essere stata scavalcata, l’anno scorso, dalla Russia. Nel 2017 Riad ha speso 69,4 miliardi di dollari contro i 66,3 di Mosca. Seguono India, Francia (primo Paese europeo con 57,8 miliardi), Regno Unito, Giappone e Germania (44,3 miliardi).

LA POSIZIONE ITALIANA

Il nostro Paese ha perso una posizione rispetto allo scorso anno, scavalcato (insieme all’Australia) dal Brasile, e finito così al 12esimo posto. Secondo i dati Sipri, l’Italia spende 29,2 miliardi per la Difesa, con una riduzione del 17% nel periodo 2008-2017, la più consistente dei primi 15 Paesi al mondo. Tra questi, infatti, ad aver diminuito la spesa nell’ultimo decennio sono stati solo Regno Unito (-15%) e Stati Uniti (-14%), con un trend comunque meno consistente rispetto a quello italiano. La spesa militare italiana è pari all’1,5% del Pil, sebbene i dati ufficiali della Nato (quelli che contato per gli impegni assunti durante il Summit in Galles nel 2014) parlino di un 1,12%.


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