Quella di Pier Luigi Bersani non è soltanto una sconfitta politica. Il segretario del Pd – ovviamente ad avviso di chi scrive – esce con disonore dalle consultazioni condotte per dare avvio alla XVII Legislatura e formare un governo.
Nella storia del Partito comunista vi sono stati ben due segretari reprobi. Il primo, Amedeo Bordiga, venne sconfitto per le sue posizioni estremiste (al Congresso di Lione nel 1926), poi espulso dal Partito. Il secondo, Nicola Bombacci, amico personale di Benito Mussolini quando era socialista massimalista, finì per essere attratto dal Fascismo.
Adesso il Pci ha cambiato più volte nome, fino a quando i suoi eredi sono confluiti, insieme alla sinistra Dc e ad altre correnti di pensiero, nel Partito democratico. Pier Luigi Bersani è sicuramente l’ultimo segretario democrat che provenga del Partito comunista. Dopo di lui vi saranno leader che nel 1989 – quando cadde il Muro di Berlino – erano ancora ragazzini più interessati a giocare a pallone all’oratorio che a fare politica, convinti tuttora, anche se nel frattempo sono cresciuti, che Gorbaciov fosse una marca di Vodka e non il cognome di un leader che pretendeva di cambiare il comunismo dall’interno con la perestrojka e la glasnost (il cambiamento e la trasparenza, appunto: concetti che sono rimasti nel circuito del post-comunismo).
Purtroppo, il destino ha voluto che l’uomo di Bettola – esecutore testamentario dell’ex Pci – sia ricordato, negli anni a venire, alla stregua dei fondatori Bombacci e Bordiga, più del primo che del secondo. La linea di condotta che Bersani ha imposto al Pd nei confronti del M5S è imperdonabile per qualsiasi cittadino democratico.
Nelle mie memorie di ragazzo interessato alla politica ed attento alle prime tribune televisive è rimasto indelebile la risposta che Giancarlo Pajetta (il quale aveva patito diversi anni di carcere durante il Fascismo) diede a Giorgio Almirante, allora segretario del Msi (e pure sempre persona coerente e rispettabile): “Con voi il discorso è chiuso dal 25 aprile del 1945”. Non era un caso che le forze politiche della gloriosa Prima Repubblica evitassero di avere rapporti con il Msi, un partito che partecipava alle elezioni, che stava al gioco democratico nelle istituzioni, ma che veniva tenuto fuori dal c.d. arco costituzionale, anche se nei suoi confronti i partiti democratici, giustamente, non vollero mai dare corso, nonostante le sollecitazioni e le iniziative di talune forze extraparlamentari, alla disposizione transitoria della Carta Costituzionale che proibiva la ricostituzione del Partito fascista.
Quando il Msi riusciva ad intrufolarsi in modo determinante in qualche votazione importante, tutti, a partire dal Pci, gridavano allo scandalo. Addirittura, nel 1960, il governo Tambroni, sostenuto dai voti determinanti del Msi, venne travolto da manifestazioni di piazza con morti e feriti. Forse vi erano pure delle esagerazioni, ma per poter partecipare in modo paritario alla vita pubblica del Paese, il Msi è dovuto passare per Fiuggi e recidere i legami con l’eredità del Ventennio.
Chi avrebbe mai pensato, invece, di assistere ad una tanto inquietante caduta di valori da parte del Pd, fino a legittimare un movimento fascistoide non pentito come il M5S? In Europa se ne sono già accorti. Quegli stessi circoli che temevano la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, ora hanno capito che Grillo e i suoi rappresentano un grave pericolo per il Vecchio Continente. Basta mettere a confronto i discorsi dell’ex comico Beppe Grillo con quelli dell’ex imbianchino Adolf Hitler. E il Pd ? Invece di chiamare il popolo italiano a reagire e chiedere alle altre forze politiche (che in fondo hanno raccolto insieme circa il 75% dei voti) di fare argine contro il nuovo fascismo, Bersani ha fatto di tutto per abbattere le “mura di Ilio” (non usiamo il nome Troia per evidenti motivi) e far passare il cavallo di legno da cui usciranno, nottetempo, gli assassini delle istituzioni democratiche.
Il Pd avverte una sorta di contiguità tra la sua base elettorale e quella del M5S; e questo viene ritenuto sufficiente per farne un potenziale alleato. Eppure anche quello del Msi era un elettorato popolare, ma il Pci di allora era in grado di cogliere le inconciliabili differenze con i propri valori. Basti ricordare, nei primi anni ’70, quando a Reggio Calabria scoppiò il fenomeno del “Boia chi molla!”, legata alla vicenda del capoluogo regionale. Sulle barricate ci andò il popolo, ma Il Pci non ne volle sapere e tenne duro a lungo, mettendo in conto anche delle conseguenze negative sul piano elettorale.
E che dire oggi della Lega Nord? Il suo non è forse un elettorato popolare? Gli stessi elettori di Silvio Berlusconi sono in larga parte piccoli imprenditori, lavoratori dipendenti, persino operai, in misura maggiore di quelli che votano Pd. In Francia, il Fronte Nazionale raccoglie consensi i settori della classe operaia che una volta votavano il Pcf. Ma il Partito socialista non si porrebbe mai il problema di un’alleanza con Marine Le Pen, tanto che anni or sono invitò il proprio elettorato a convergere su Jacques Chirac nel ballottaggio con Le Pen padre.
E’ vero, per adesso il M5S è violento soltanto con le parole, ma il suo modo di porsi rispetto ai problemi della società e al dibattito politico non può lasciare dubbi sulla sua natura intrinseca. Eppure, Bersani e il Pd si sono presi la responsabilità di sdoganarlo.
Le immagini dell’incontro diffuso via streaming sono state un’umiliazione per tutti. Mancava soltanto che il segretario del Pd procedesse al lavaggio dei piedi dei suoi interlocutori “grillini”. Ma ciò che è intollerabile è aver riconosciuto loro di essere protagonisti del cambiamento, come se bastasse la parola, alla stregua della pubblicità al Confetto Falqui della nostra infanzia. D’ora in poi non si darà più al sostantivo “cambiamento” un qualsivoglia significato positivo.