Dopo la firma del documento comune tra le due Coree, durante il quinto summit, dopo il cessate il fuoco del 1953, possiamo finalmente osservare alcune costanti strutturali della questione intercoreana.
Moon Jae-in, il leader del Sud, ha chiesto a Kim Jong-un quando avrebbe potuto andare a visitare Pyongyang; e il leader nordcoreano gli ha risposto: “Anche adesso”.
Io, mi si perdonerà questo elemento soggettivista in una analisi strategica come questa, c’ero. Sono stato ricevuto da Kim Yong-Nam, Presidente del Presidium dello Stato di Corea al Palazzo dell’Assemblea del Popolo con tutti gli onori il giorno prima della cerimonia di Panmunjeom, ho parlato a lungo con il capo di Pyongyang, con i suoi collaboratori, ho valutato molto alcune idee e impressioni.
Ho visto e ho meditato tutto, anche se, come spesso mi capita, devo “tenere tutto nel mio cuore”, come accadeva alla Santa Vergine quando ascoltava le prediche di Suo figlio.
In altri termini, posso affermare che, in primo luogo, l’apertura della Repubblica Democratica della Corea è reale e sincera. E stabile, se lo vorranno gli occidentali e il Giappone. Come abbiamo ripetutamente scritto in tutti questi anni, il potenziale nucleare, missilistico e chimico-biologico di Pyongyang era proprio quello che occorreva, alla piccola Corea del Nord, per assurgere a una posizione mondiale, a porre il problema della sua sicurezza e indipendenza davanti a tutte le superpotenze, a chiedere il rispetto che si deve anche al più piccolo Paese del globo.
Le potenze, indipendentemente dalla loro dimensione, possono essere autonome o soggette. La chiave è, da sempre, evitare di essere “profeti disarmati”, per usare una antica categoria del Machiavelli. L’Italia non è un Paese soggetto, è ormai non-esistente.
In seconda istanza, l’apertura di Kim Jong-un al mondo occidentale, e agli Usa in primo luogo, è condizionata ad una questione che lo stesso Kim ha discusso a lungo con il Presidente cinese Xi Jinping, nella recentissima visita del leader nordcoreano in Cina nell’ultima settimana del Marzo scorso.
La Cina, lo abbiamo detto e scritto varie volte in questi anni, non vuole in nessun modo un esercito statunitense ai propri confini, senza opporvi uno stato-cuscinetto che la protegga dalla erraticità imperiale dei nordamericani.
La Corea del Nord non vuole ridursi ad essere il Piemonte della Cina, una piccola potenza militare che fa da guardia ai confini meridionali di Pechino. Ma non vuole nemmeno essere un elemento secondario e passivo nello sviluppo futuro della intera penisola coreana. Quindi, secondo punto, proprio quell’albero che Kim e Moon hanno piantato insieme non è, quindi, un vecchio simbolo della Rivoluzione Francese, ma semmai esso è l’immagine di una unità coreana che si fonda su un primo concetto: la denuclearizzazione. Che è l’obiettivo primario della Cina in Corea, a Nord come a Sud.
La liberazione della penisola coreana da tutte le armi N e Nbc è quindi garanzia per Pyongyang, sicurezza per Seoul, necessità assoluta per Pechino. E, credo, sarebbe anche una buona scelta anche per Washington e Tokyo. Un abbassamento, allora, e una equalizzazione dei potenziali strategici in tutto il Sud-Est asiatico è il punto di contatto razionale tra tutte le strategie nell’area. Va perseguito subito.
Il Giappone ha poi, giustamente, qualche dubbio, ancora, sul Summit pancoreano; e lo ha fatto prontamente sapere agli Usa. Ma, ancora, l’abbassamento della soglia di innesco di uno scontro, anche convenzionale, conviene a tutti e, principalmente, ai giapponesi. Che stanno ricreando una triangolazione economica con la Cina e la Corea del Sud che potrebbe diventare l’asse del nuovo sviluppo regionale del Nord. I giapponesi, lo ricordiamo ancora, sono in piena fase di ripresa delle relazioni economiche con Pechino, con il 13° Round di discussioni economiche trilaterali tra Giappone, Cina e, guarda caso, Corea del Sud. Un asse su cui si può inserire l’America del Nord, per trattare le questioni economiche con la Cina. In un contesto di guerre tariffarie presenti e future, tutto ciò è essenziale. Anche le relazioni economiche tra Corea del Sud e Cina, quindi, stanno ritornando a livelli elevati.
Il che vuol dire, strategicamente, che la Cina di Xi Jinping può, se lo vuole, sostituire quasi integralmente l’appoggio Usa a Seoul. E questo in funzione di un depotenziamento del sistema militare statunitense nella Repubblica di Corea, nel sud della penisola.
Terzo elemento, sempre da non trascurare, è che Kim Jong-un ha ordinato ai suoi militari di “organizzare frequenti incontri” con le loro controparti del Sud, senza nemmeno far riferimento alle frequenti esercitazioni militari di Seoul con le forze Usa.
Il “regime di pace permanente” per risolvere “l’Innaturale stato di tensione” tra le due Coree è uno dei veri obiettivi del Summit; e va nella direzione degli interessi strategici di Mosca. Non dimentichiamo che Vladivostok è a non molti chilometri dalle coste nordcoreane. E ciò è anche nell’interesse della Cina, che non ha molto interesse per una Corea unificata ma ha un supremo obiettivo, quello di non avere forze Usa a contatto con le proprie e nemmeno con quelle di Pyongyang, visto che 160mila militari cinesi stazionano a meno di 100 chilometri dal confine con la Corea Democratica. E, soprattutto, non vuole armi nucleari nella penisola coreana, a Nord come a Sud.
E, arriviamo qui alla fine del nostro riassunto sul quinto Summit intercoreano, dopo il 1972, 1992, 2000 e 2007, al centro della questione. L’economia, dunque.
Kim Jong-un vuole, insomma, l’alleggerimento della tensione militare per perseguire il fine primario, quello della crescita economica del suo Paese. Non è una negazione della sua teoria della correlazione tra sviluppo militare e crescita economica. Anzi, è una riaffermazione del nesso positivo tra le due linee di sviluppo di Pyongyang.
Ma qual è, allora, il gruppo dirigente della Corea democratica che ha portato avanti questa grande svolta?
Se c’è qui un errore che gli occidentali fanno, quando analizzano le strutture politiche asiatiche, è quello di pensare che tutto avvenga come nelle favole dei fratelli Grimm, quando un Re decide casualmente cose bizzarre senza mai analizzarne gli effetti.
Niente di tutto questo: i sistemi asiatici, ma soprattutto quello della Corea del Nord, sono apparentemente “irrazionali” per noi allievi del razionalismo giuridico avalutativo; ma perfettamente funzionali all’interno delle loro tradizioni e delle più antiche simbologie politiche dell’est.
Fossimo, in Occidente, così attenti alle nostre tradizioni politiche antiche come lo sono i cinesi e i nordcoreani; ma anche i giapponesi e i vietnamiti. Non è qui questione di sistemi economici, ma della natura politica e culturale dei sistemi politici.
Karl Wittfogel ha, come è noto, studiato il ruolo del sistema idraulico dell’antica Cina in rapporto al ruolo mitico dell’Imperatore di “tutto sotto il cielo”. Il ”Grande Impero Coreano” viene proclamato nel 1897, per poi essere subito riassorbito nella dialettica avversa tra Cina e Giappone. Sia il Nord che il Sud di quella penisola ricordano il simbolo, la sua storia, il suo significato. La sua ferita, mai suturata.
Senza comprendere bene, quindi, il ruolo sapienziale e tradizionale del Capo, nel mondo asiatico, non si capisce né il comunismo né le altre società filoccidentali. E quindi, chi collabora davvero con Kim Jong-un, che è un leader razionale colto e lucido, ben diverso dal “rocket man” di cui lo tacciò il meno colto presidente Trump?
Si tratta di Ri Su-Yong, presidente del comitato per gli Affari Esteri della Suprema Assemblea del Popolo della Repubblica Democratica di Corea. Era accanto a Kim Jong-un durante le cerimonie del recente incontro a Panmunjeom, era con me il giorno prima, ma è ormai un amico con cui discuto da tempo di politica internazionale.
Certo, avrei preferito non far parte di una nazione, quella italiana, che dopo ben due mesi di permanenza dell’ambasciatore nordcoreano in Italia, gli rifiuta l’analisi delle credenziali e lo rispedisce senza troppi in patria, nemmeno ricevendolo per pura buona educazione. I servi sciocchi di poteri che stanno facendo altre scelte politiche. Il massimo della stoltezza. Aveva ragione Voltaire: “Molto spesso, dì quel che ti pare, un servo è solo uno sciocco”. E tremo al pensare quanto spazio potremmo aprirci nel nuovo equilibrio coreano, negli affari come nella politica internazionale, e come proiezione di potenza pacifica dell’Italia e della Ue in tutta l’Asia. Se solo sapessimo come comportarci. Ma Quos Deus perdere vult, dementat.
Per comprendere meglio la questione dei rapporti tra chi scrive e la Corea del Nord, voglio qui aggiungere una lettera che proprio Ri Su-Yong mi ha inviato, non molto tempo fa. È un testo importante, ufficiale ma analitico, per comprendere tutto lo spettro delle tematiche sulle relazioni tra Sud e Nord della penisola coreana.
Ma chi è davvero Ri Su-Yong, l’uomo che esegue le direttive ma, anche, collabora creativamente con il Leader Kim Jong-un nella politica estera (e non solo) di Pyongyang? Ecco una sua biografia, che, credo, parlerà da sé. E ci permetterà allora di comprendere il particolare meccanismo, in Corea del Nord ma anche in molti altri Paesi asiatici, quel meccanismo che mette in equilibrio il potere simbolico e reale del Capo con un sistema di pesi e contrappesi. Il quale, però, non ha nulla a che fare con le ideologie liberali e illuministiche che hanno creato, in Occidente, questi meccanismi politici di check and balance.
Ri Chol, ovvero Ri Sun-Yong, è il vice presidente del Partito del Lavoro nordcoreano, oltre ad essere presidente del comitato diplomatico dell’Assemblea Suprema del Popolo, lo abbiamo visto nella lettera a me indirizzata, ma è anche membro del Comitato Centrale e dell’Ufficio Politico del Partito, secondo le migliori e tradizionali tradizioni della Terza Internazionale. Ri è stato ed è il rappresentante ufficiale di Kim Jong-un in Europa e è stato ambasciatore presso la sede di Ginevra dell’Onu. Con lui parliamo francese.
Nel 1974, Ri fu nominato direttore generale del Protocollo e delle Organizzazioni Internazionali al ministero degli Affari Esteri di Pyongyang divenendo, nel 1980, vice direttore del segretariato personale di Kim Jong-Il e vice direttore del Dipartimento della guida.
Nello stesso anno, il 1980, Ri venne riassegnato a Ginevra, all’ambasciata di Pyongyang, dove aveva svolto funzioni di protocollo, mentre, in tutta Europa, Ri viaggia e svolge lavori delicatissimi in relazione diretta con il leader e la sua famiglia.
Ri diventa infine ambasciatore della Repubblica Democratica di Corea in Svizzera nel 1988. Ed è a Berna, appena riassegnato, che segue le carriere personali e scolastiche di Kim Jong-Un, che studia nella capitale elvetica (e bene) presso la locale università e i corsi ulteriori alla Hsg, l’ateneo di San Gallo dove, in anni diversi da quelli del giovane Kim, insegnò un grande dell’economia, Ota Sik, quello del “nuovo corso” di Praga con Dubcek.
Nel 2010, Ri viene richiamato in Patria, dove inizia a lavorare nel segretariato personale. Poi, nel 2014, Ri diviene ministro degli Esteri. Per arrivare, due anni dopo, al Comitato Centrale del Partito. Ri Su Yong è nato nel 1940, ha studiato alla Scuola Rivoluzionaria Mangyo’ndae e poi all’Università Kim Il Sung, ma in quel tempo è già amico personale di kim Jong Il. Da padre spirituale a collaboratore e, infine, ad amico, ecco il meccanismo con cui una figura di altissimo profilo come Ri su Yong diviene la vera “eminenza grigia” della Corea del Nord e dell’attuale fase di distensione.
E speriamo che le improntitudini dei servi sciocchi o le ossessioni imperiali di qualcuno, in Occidente, non facciano cessare presto questa straordinaria occasione di pace.