Un occhio al mondo islamico, un occhio alla campagna elettorale, ma soprattutto un messaggio chiaro, e poco conciliante all’Occidente. Credo sia questo il messaggio ultimo del “venerdì della collera a la turka”. Recep Tayyip Erdogan ha voluto fare capire a tutti che i tentativi di dividere la comunità musulmana si riveleranno inutili e che anzi potrebbero essere la spinta definitiva per favorire la sua riunione e la lotta contro un nemico comune, che con poca fantasia, ha tre attori principali: gli Stati Uniti, Israele e l’Unione Europea.
La causa palestinese, qui, più che un fine è un mezzo. La certezza che davanti a un movente del genere anche chi ne resterebbe fuori volentieri, come l’Arabia Saudita e l’Egitto, in realtà non può tirarsi indietro.
Una visione distorta della Storia, dove il passato non serve a riflettere sul presente, ma a rinfocolare vecchi attriti. “Ci siamo presi Gallipoli nel 1915, ci prenderemo anche Gerusalemme”, ha tuonato Erdogan, sottolineando che lui non ha nulla contro gli ebrei e che i nemici sono i sionisti. Sarà anche così, ma la manifestazione di ieri aveva una connotazione religiosa fortissima, oltre a essersi svolta nel primo venerdì di Ramadan.
Il discorso del presidente è stato anticipato da una preghiera, molti dei partecipanti avevano fascette o altri ornamenti con frasi del Corano dipinte sopra, “Allah Akbar” sono state le parole più ripetute della folla. “Gerusalemme non è solo una città, è un simbolo” ha detto Erdogan, scatenando l’entusiasmo delle decine di migliaia di persone presenti, che però avrebbero potuto essere molte di più.
Del resto, in vista del voto del 24 giugno, il capo di Stato di utilizzare tutti i simboli a disposizione ha assolutamente bisogno. E quindi se tre giorni fa c’era la foto con il giocatore turco-tedesco Ozil e ieri la chiamata alla lotta per la difesa di Gerusalemme, domani ci sarà il comizio a Sarajevo. Il primo comizio all’estero del leader turco per scopi elettorali interni.
Questo servirà a Erdogan per creare un precedente importante. In Bosnia vivono molti studenti che si sono trasferiti lì per studiare e poi hanno deciso di rimanerci. Come altri Paesi balcanici sta entrando nell’orbita di Bruxelles che, tardivamente, si è accorta che su quella regione gravitano anche gli appetiti di Russia, Turchia e Cina.
Dei tre, però, la Mezzaluna è il più pericoloso di tutti, perché non mira tanto all’aspetto economico, quanto all’influenza sulle popolazioni di origini musulmane, quelle nei Balcani e quelle che già vivono in Unione Europea. È un passato che ritorna, quello ottomano, fatto di una visione forse troppo romantica, della Storia, di flussi demografici e di ambizioni che impatteranno direttamente sulla quotidianità degli europei. Perché quando Erdogan parla si rivolge a tutto il mondo musulmano si sente autorizzato ad agire come garante per quelli che considera tutti la sua gente.
L’Occidente, soprattutto Bruxelles, non ha ancora imparato a relazionarsi a questo leader e probabilmente lo stanno sottovalutando. Con buona pace di Erdogan, che se dal punto di vista diplomatico porta a casa risultati spesso deludenti, da quello dell’influenza e del soft power sta tessendo una tela nella quale rischiamo di rimanere intrappolati tutti.