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Droni americani in Grecia (e perché no a Sigonella?)

droni

C’è una notizia interessante anche per l’Italia pubblicata da Defense News, sito americano specializzato nel settore Difesa e sempre molto informato su quel che avviene in quel mondo: l’aviazione americana ha spostato momentaneamente alcuni velivoli senza piloti (semplificazione giornalistica: droni, ndr) Mq-9 Reaper in una base greca.

I giornalisti del sito hanno condotto un’inchiesta e poi hanno chiesto conferma al Pentagono: a parlare è stato il portavoce del dipartimento delle Difesa americana, Eric Pahon, che ha confermato. I droni si trovano alla base Larisa, situata a metà del lato orientale della Grecia, vicino al Mar Egeo. Sono stati spostati là perché la loro base di stanza, in Africa, è in fase di ristrutturazione.

Non sono stati forniti dettagli su quale sia questa base africana, ma si può pensare ad Agadez, in Niger, dove gli americani stanno allargando il loro spettro operativo ampliando un avamposto tattico all’interno di un settore difficile (e di un paese delicato dove a ottobre dello scorso anno, in un’imboscata, gli uomini di un gruppo affiliato allo Stato islamico hanno ucciso quattro Berretti Verdi).

“Questi aerei sono disarmati e sono utilizzati solo per la ricognizione. A causa di considerazioni sulla sicurezza operativa, tuttavia, non pubblichiamo dettagli su missioni specifiche”, ha affermato Pahon, che ha specificato dettagli tecnici sulle clausole di collaborazione tra Grecia e Stati Uniti, su regole di comportamento e ingaggio, rotte di volo.

La presenza militare americana in Grecia è un argomento sensibile perché stuzzica la Turchia, che ogni tanto allunga il proprio interesse geopolitico verso le coste del Peloponneso e potrebbe essere indispettita: Ankara e Washington convivono pragmaticamente la partnership Nato, ma non hanno un ottimo feeling ultimamente.

I turchi potrebbero vedere lo spostamento in Grecia come un messaggio contro certe mire; Washington potrebbe metterlo nell’ottica di un potenziale alleggerimento operativo di Incirlik, la grande base nucleare turco-americana: di recente, durante una visita ad Atene, l’assistente segretario di Stato americano per gli affari europei ed eurasiatici, Wes Mitchell, ha parlato della possibilità di spostare “una porzione significativa” del potenziale di Incirlik in Grecia.

C’è un altro paese alleato americano che dovrebbe essere interessato da certe dinamiche: l’Italia. La Sicilia, in particolare Sigonella, ospita una base aerea che fa da avamposto tattico per le operazioni nel Nordafrica, essenzialmente quelle legate alle missioni anti-terrorismo contro gruppi baghdadisti nel Maghreb e qualche spuria qaedista.

I voli di osservazione dalla Sicilia sono stati protagonisti della campagna militare con cui gli americani hanno distrutto l’hot spot califfale di Sirte, in Libia, che fino al dicembre del 2016 era la più grossa roccaforte baghdadista dopo Mosul in Iraq e Raqqa in Siria. Missioni contro le sacche di resistenza dello Stato islamico disperse a cavallo del sud libico e del Sahel sono tuttora condotte quotidianamente, i droni di Sigonella tracciano i militanti, Roma ha dato anche autorizzazione alla presenza di velivoli armati.

Però il governo italiano ha faticato a giustificare questa disponibilità (che è completamente nell’ottica della sicurezza nazionale anche italiana) davanti alla deriva sovranista anti-americana che larga parte dell’elettorato sembra aver preso (i voti alla Lega pro-russa e al Movimento Cinque Stelle possono essere una cartina tornasole).

L’uso delle basi italiane viene descritto non nell’ambito classico della collaborazione tra paesi amici e alleati, ma come una sudditanza a Washington (si ricorderà, per dirne una, l’assurda polemica alzata dal sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, contro il sottomarino americano “Uss John Warner“, che passando dal golfo partenopeo era stato accusato dal primo cittadino e dai suoi fan di essere un vettore delle guerra imperialista che gli americani avrebbero voluto condurre contro la Siria; guerra risolta in meno di un’ora in realtà, con un raid punitivo contro il regime in risposta a un atroce attacco chimico sui civili).

 

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