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La Rerum Novarum e i cambiamenti nell’era digitale

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Se nell’attuale dibattito pubblico il tema all’ordine del giorno risulta essere, in maniera crescente, quello del cambiamento politico, è invece passato più di un secolo da quando papa Leone XIII, nel 1891, promulgava un testo intitolato proprio con l’equivalente traduzione latina, la Rerum Novarum, letteralmente “Delle cose nuove”. Ovvero l’enciclica sociale che portò alla nascita della Dottrina Sociale della Chiesa, la prima con la quale la Chiesa cattolica si inserì in maniera diretta nel dibattito pubblico, affrontando questioni politiche e sociali, prendendo posizione a favore dei poveri, dei bisognosi, delle famiglie, del bene comune e della diffusione di un benessere sano e virtuoso, in linea con la Parola del Vangelo.

È al contrario passata soltanto una settimana dalla presentazione dell’ultimo documento promosso dalla Santa Sede in materia di temi sociali, o meglio, “circa alcuni aspetti dell’attuale sistema-economico finanziario”, dal titolo “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones”. Segno che se i tempi passano, anche i problemi da affrontare cambiano, come si è subito compreso ascoltando a Roma, presso il Palazzo della Cancelleria, all’inizio della prima sessione di dibattito della conferenza internazionale 2018 promossa dalla Fondazione Centesimus Annus – pro Pontifice e quest’anno intitolata “Dibattito sulle nuove politiche e stili di vita nell’era digitale”, le parole del presidente della fondazione Domingo Sugranyes Bickel.

Il tema della seduta inaugurale è quello di “individuare le ‘Cose nuove’ e le priorità socio-economiche del mondo attuale”. Anche perché, come ha affermato nella presentazione dell’incontro il cardinal Presidente dell’APSA Domenico Calcagno,”nessuna mappa è utilizzabile se non c’è una bussola”. La discussione verte su quali siano “le priorità per ridisegnare un’economia centrata su dignità e solidarietà”, ma allo stesso tempo come affrontare e intercettare al meglio quelle “novità” che, in maniera così pervasiva, stanno cambiando la società, il modo di relazionarsi e persino gli uomini stessi. “Oggi è avvertita l’urgenza di elaborare un nuovo modello di sviluppo, serve un cambio di passo”, ha infatti affermato in apertura Giovanni Marseguerra, coordinatore del comitato scientifico della Fondazione. “Le sfide per i laici sono molte, e finita la conferenza dobbiamo impegnarci a tradurre le riflessioni in pratica”, ha aggiunto.

In encicliche come la Centesimus Annus di Giovanni Paolo II, però, ciò che “emerge è che la Chiesa non ha modelli da proporre, in quanto essi possono nascere solo nel quadro delle diverse situazioni storiche, nel profilo delle diverse personalità chiamate in causa”, ha spiegato Alberto Quadrio Curzio (nella foto), presidente emerito del comitato scientifico della fondazione e attuale presidente dell’Accademia dei Lincei. “Giovanni Paolo II si pone in una posizione di ascolto e ci dà orientamenti, non proposte”, ha continuato l’economista. Anche perché “non esiste costruzione umana perfetta, nessuna democrazia può esserlo”. Oggi, in particolare, sono due gli esempi più criticati: “Le Nazioni Unite, additate come inutili e impotenti, e l’Unione Europea, vista come oppressiva perché burocratica”.

I nodi problematici sono tanti, e diversi. A partire dal tema del riarmo, di cui il professore ne avvisa “una enorme ondata su scala mondiale”, alla mancata coordinazione europea sulla spesa destinata ai paesi in via di sviluppo, territorio da cui parte “il 70 per cento della quota mondiale” ma dove complessivamente non ci si riesce ad organizzare in maniera efficace, e quindi a fare pesare questa cifra, specialmente per colpa della “mancanza di una politica estera comune”. Poi c’è l’immigrazione, che, “senza controllo”, finisce per “modificare il contesto sociale dei paesi riceventi”, situazione “che si registra in tutti i paesi europei con quella ondata che viene chiamata di populismo”, ha spiegato Quadrio Curzio. E infine il punto del “sistema dei media digitali”, che stanno “cambiando completamente l’interazione sociale in senso individualista, destrutturando la persona, con conseguenze anche di tipo economico e politico”, ha continuato il professore, mettendo poi ben in guardia dal fatto che “si stanno configurando monopoli a livello mondiale che superano la forza delle istituzioni e puntano all’individuo”.

Lyotard, il teorico del post-modernismo, parlava della fine della grandi narrazioni. Io, al contrario, descriverei il nostro tempo come quello delle mini-narrazioni, che dal punto di vista psicologico potrebbero essere chiamati semplicemente miti”, ha infine argomentato il filosofo gesuita, docente alla Gregoriana,  Gaetano Piccolo. “Sul piano della comunicazione poi potremmo chiamarli slogan, in quanto tendono a limitare la narrazione e non stimolare il pensiero”. Ma non è comunque tutto da buttare, del mondo attuale. Perché oggi, nell’epoca del digitale, ci troviamo di nuovo alle prese con la centralità del linguaggio, ed è in base a come lo usiamo che “definiamo il tipo di uomo”, ha proseguito il sacerdote. Così la parola “non è più riflessiva e attenta ma gettata e incisiva”, e “il modo in cui parla e si racconta ci dice qualcosa di questo uomo”, ha aggiunto. L’epoca digitale è infatti anche epoca “di cambiamento del pensare”, il che “è provato anche in ambito neuro-scientifico: il cambiamento nell’uso della parola determina il cambiamento del modo di pensare”.

Perciò se “fino ad oggi eravamo nel tempo della razionalità logica aristotelica”, ha chiosato il filosofo gesuita, “ora ci troviamo in un mondo dove la gente vuole descrivere il proprio bisogno affettivo, fino ad oggi considerato come una disfunzione da curare”. Questo ci porta ad osservare che oggi c’è sempre più “bisogno di espressione di affettività”, aspetto che “il mercato ha incontrato”. Ma “c’è un connubio tra bisogno affettivo e un utilizzo non sempre ordinato”, e soprattutto c’è un modo di guardare, con occhi positivi, il nostro tempo. “Questa dimensione di primato dell’affettività e di tempo degli slogan non è da disprezzare, ma è il punto di partenza. Segna la fine dell’epoca della secolarizzazione, tempo in cui la dimensione spirituale ritrova spazio”, ha affermato Piccolo. E “questo spazio dato alla dimensione affettiva può essere il punto di partenza per riflettere sul discernimento. Che è partire dagli affetti, da cosa c’è dietro. E che significa dire cosa è questo tempo e cosa c’è dietro”.


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