Era il 1949 quando il Parlamento votò per l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico. Il partito comunista – fortemente legato all’Unione Sovietica – votò contro e si dovette attendere la segreteria di Enrico Berlinguer, nel 1975, perché la Nato non fosse più un tabù. Solo nel 1989 – con la caduta del muro di Berlino – fu possibile archiviare definitivamente la querelle sul ruolo del nostro Paese nello scacchiere internazionale.
I preamboli dei partiti che nelle prime righe dei loro “manifesti” scrivevano della loro identità in relazione all’amicizia con gli Stati Uniti si sono con il tempo sbiaditi (sia i preamboli che i partiti). Nel corso della Seconda repubblica le forze politiche si sono scontrate su tutto tranne che su Nato e missioni militari all’estero. L’unico presidente del Consiglio proveniente dalla storia del Pci, Massimo D’Alema, dette il via libera alla partecipazione italiana nelle missioni internazionali nei Balcani. Al netto di posizioni di maniera, il dubbio su chi siano i nostri Alleati negli ultimi vent’anni non ha mai sfiorato nessuno dei grandi partiti presenti in Parlamento.
Se così è stato, oggi non è più. La mozione del Movimento 5 Stelle per chiedere il ritiro dei nostri militari dall’Afghanistan suggella un indirizzo politico, del tutto legittimo, che di fatto si pone contro l’idea della partecipazione dell’Italia al Patto Atlantico. La scelta di proporre l’abbandono del programma per i velivoli F-35, l’altrettanto aperta ostilità nei confronti dell’installazione in Sicilia del sistema radar Muos e la manifesta diffidenza nei confronti dell’industria italiana della difesa (Finmeccanica ma non solo) sono tutte tessere dello stesso mosaico.
Questa visione “grillina” della politica estera trova un’ampia (e tutto sommato non troppo prevedibile) sponda nel partito di Nichi Vendola che pure aveva sottoscritto un accordo per governare insieme al Pd. Ed è proprio la formazione guidata da Pierluigi Bersani ad apparire in imbarazzo. Se da un lato è indubitabile la fede occidentale dei Democratici, dall’altro è evidente che la rincorsa politica al consenso di Beppe Grillo non abbia consentito (sin qui) di prendere una posizione netta contro queste iniziative.
In un Paese pienamente democratico e sovrano, discutere di missioni di pace, di acquisto di mezzi militari, di collaborazione internazionali in programmi di difesa, di industria “bellica” è non solo fisiologico ma giusto, necessario. Il fatto che in Parlamento siano presenti gruppi che strizzano l’occhio ad una posizione che ricorda molto quella del Pci nel ’49 non deve fare scandalo. Il punto vero sta nell’afasia di tutte quelle forze politiche che, dando per scontato il quadro delle Alleanze internazionali, non hanno sentito e non sentono il bisogno di prendere una posizione altrettanto netta e chiara. Non si tratta di esprimere un’acritica e supina posizione di accettazione di un atlantismo formale ma di avere consapevolezza di essere parte (attiva, se possibile) di un sistema sovranazionale.
La politica estera e di difesa resta un caposaldo (se non “il” caposaldo) di ogni partito e di ogni Stato. Le sollecitazioni che giungono da Grillo e Vendola non possono essere né taciute né sottovalutate. Richiedono invece un dibattito franco in cui la collocazione geopolitica dell’Italia non sia trattata come un optional bensì come un elemento fondante (e se possibile condiviso) del Paese. Alimentare equivoci può essere utile elettoralmente ma produce un danno esiziale all’interesse nazionale.