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L’altro contratto di Salvini (con Putin). Il Nos – e il Viminale – a rischio?

Ad un anno dalle elezioni politiche, e precisamente il 6 marzo 2017, Matteo Salvini era a Mosca. Il suo profilo Facebook e le stesse agenzie stampa diedero conto di una giornata certamente intensa per il leader della Lega, in quel momento partito di opposizione. In quella occasione, il capo del Carroccio ebbe un colloquio bilaterale con il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, e soprattutto firmò un contratto, meno noto rispetto a quello stipulato con Luigi Di Maio ma non meno rilevante sul piano politico ed internazionale. L’altro contraente non era un partito italiano bensì quello di Vladimir Putin, Russia Unita. Un accordo importante e significativo che oggi desta inquietudine non solo in diversi ambienti del Pd ma anche fra esperti di sicurezza nazionale. Perché? Prima di rispondere leggiamo cosa è scritto nell’intesa il cui testo integrale può essere letto nel libro “Da Pontida a Mosca. Gli accordi fra Putin e la Lega Nord” scritto da Fabio Sapettini e Andrea Tabacchini (ed. Samovar).

I CONTENUTI DEL CONTRATTO

​Anzitutto i contraenti. Per il partito dello zar a sottoscrivere c’è il Vice Segretario Generale del Consiglio per le Relazioni Internazionali S.V. Zhelezniak. Dall’altra, lui: Matteo Salvini. Quindi le premesse dove si cita, fra l’altro, “un partenariato paritario e confidenziale tra la Federazione Russa e la Repubblica Italiana”. Confidenziale? Chissà. Veniamo comunque agli impegni presi. E’ l’articolo 1 quello più rilevante. Ecco cosa prevede: “Le Parti si consulteranno e si scambieranno informazioni su temi di attualità della situazione nella Federazione Russa e nella Repubblica Italiana, sulle relazioni bilaterali e internazionali, sullo scambio di esperienze nella sfera della struttura del partito, del lavoro organizzato, delle politiche per i giovani, dello sviluppo economico, così come in altri campi di interesse reciproco”. Quali possono essere gli altri campi di interesse è lasciato alla libera interpretazione delle parti. Di certo c’è che il raggio dello scambio informativo è particolarmente ampio. Gli altri articoli, dal 2 al 5, prevedono che “le Parti si scambieranno regolarmente delegazioni di partito a vari livelli”, “promuovono attivamente le relazioni tra i partiti e i contatti a livello regionale”, “promuovono la creazione di relazioni tra i deputati della Duma di Stato dell’Assemblea Federale della Federazione Russa e l’organo legislativo della Repubblica Italiana” prevedendo anche “lo scambio di esperienze in attività legislative”. D’altronde, si sa, la Russia rappresenta un benchmark nella legislazione in favore dei diritti umani e delle libertà. Si arriva comunque all’articolo 6 (l’ultimo) che recita questa previsione: “le Parti promuovono la cooperazione nei settori dell’economia, del commercio e degli investimenti tra i due Paesi”. Qui si fa riferimento esplicito agli aspetti economici nelle relazioni Russia e Italia e fra i due partito. Un elemento non certo così scontato in questo tipo di contratti “politici”. Infine, sono indicati i termini temporali. “Il presente accordo entra in vigore all’atto della firma dei rappresentanti autorizzati delle Parti e ha una validità di 5 anni. L’accordo è automaticamente prorogato per successivi periodi di cinque anni, a meno che una delle Parti notifichi all’altra Parte entro e non oltre 6 mesi prima della scadenza dell’accordo la sua intenzione alla cessazione dello stesso”. Almeno fino al 2022 il rapporto fra Salvini e la Lega con Putin ed il suo partito è assicurato con tanto di firma autentica.

UN PROBLEMA DI SICUREZZA NAZIONALE

La sottoscrizione di questo contratto in questi dodici mesi è passato abbastanza traccia in Italia ma non negli Stati Uniti da dove, a diverse riprese, sono giunte segnalazioni circa le “relazioni pericolose” fra il partito di Salvini e quello di Putin, non certo un alleato di Washington (e di Roma). Dopo il risultato elettorale e considerata la concreta opzione di un ingresso della Lega al governo, la preoccupazione è aumentata. Il 17 maggio è il quotidiano La Stampa a dare voce all’inquietudine diffusa. “Segreti in mani non sicure” è l’allarme contenuto in un articolo firmato da Fabio Martini, giornalista di punta del quotidiano torinese e grandissimo esperto della politica interna. L’autore ricorda che, oltre il presidente del Consiglio, sono tre i ministri che “diventano depositari di informazioni militari e strategiche top secret”. Esteri, Difesa e Interno. Per queste figure – annota Martini – “verrà attivata una procedura estremamente riservata ma molto precisa: il Nulla Osta di Sicurezza”. Si tratta, spiega, “di un’abilitazione a poter trattare informazioni classificate su diversi livelli di segretezza”. L’ex ministro socialista Rino Formica è (parzialmente) ottimista: “Il nulla osta di sicurezza non mancherà”. Salvo aggiungere che “con questo nuovo governo il rischio sarà quello di essere emarginati dalla sfera decisionale delle grandi organizzazioni internazionali”. Un riferimento non esplicito, ma comunque chiaro, alla Nato. Sin qui, l’articolo de La Stampa che non citava il contratto fra Lega e Russia Unita. In queste ore al Viminale sono diversi ormai gli alti ufficiali che iniziano ad unire i puntini e qualcuno comincia a chiedersi se il titolare di un impegno preciso allo scambio informativo puntuale con un non alleato come Putin possa sedere al vertice della sicurezza italiana. Per il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si tratta di un altro grattacapo. Potenzialmente molto più dirompente del caso relativo al professor Paolo Savona.



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