I terrorismi nella storia sono stati e sono tanti: solo negli ultimi decenni possiamo citare quello palestinese e gli anni di piombo in Italia per finire al terrorismo internazionale di questi tempi. Rosario Aitala, magistrato da poco eletto giudice della Corte penale internazionale per gli anni 2018-2027, su questo tema ha scritto un libro che probabilmente favorirà un dibattito e che è stato presentato alla Luiss in un convegno moderato da Massimo Franco: “Il metodo della paura. Terrorismi e terroristi” (Laterza). Aitala confuta la matrice religiosa del terrorismo islamico, che anzi non vuole definire così, sostiene che “il terrorismo vada visto con tanti occhiali, da quello della geopolitica a quello della sicurezza a quello antropologico” e nega il concetto di scontro di civiltà perché “sottintende che la nostra sia una società superiore”.
Il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, forte della sua esperienza ha approfondito gli anni delle stragi di mafia (nel libro si parla anche di terrorismo politico-mafioso partendo da Portella della Ginestra) e ha ribadito la convinzione che “possiamo battere il terrorismo internazionale così come abbiamo fatto con le Brigate rosse e con la mafia”. Pignatone ha anche tratto dal libro quella che lo stesso Aitala definisce una provocazione a sostegno della propria tesi: definire islamico il terrorismo di oggi è come se definissimo terrorismo cattolico quello delle stragi mafiose, visto che i mafiosi venerano immagini sacre. Se è lecito opporre una contro-provocazione, quando ha commesso stragi oppure omicidi la mafia non li ha mai rivendicati in nome di Dio mentre i jihadisti compiono attentati nel nome di Allah grazie a un’interpretazione distorta del Corano e dell’Islam.
Per il prefetto Mario Parente, direttore dell’Aisi (l’Agenzia di intelligence interna), “è un terrorismo difficile da decifrare”. Il vero choc fu l’attentato di Londra del 2005 perché si capì che “la minaccia veniva dall’interno” e al Qaeda aveva capito che come organizzazione sarebbe stata permeabile, diventando dunque “una sorta di franchising anche se questo è stato chiaro solo dopo la proclamazione del Califfato nel 2014”. Come si sta difendendo l’Italia? L’attentato alla caserma di Milano nel 2009, dove un libico fece esplodere un ordigno ferendo un militare e procurandosi gravi lesioni, “comportò un cambio di passo e di prospettiva delle forze di polizia e dell’intelligence, facendoci concentrare su chi già è qui” ha ricordato Parente. Nonostante il monitoraggio del web, è diventato fondamentale il controllo del territorio e in particolare negli ambienti riconducibili all’Islam. “I luoghi di culto sono tra i meno frequentati dai terroristi – ha aggiunto il direttore dell’Aisi -, è più utile controllare un condominio dove abitano famiglie a rischio o gli internet cafè”. Riguardo ai flussi migratori, certamente sta aumentando la permanenza rispetto al transito, “ma in Italia non trovano facilmente un’arma o dell’esplosivo come potrebbe avvenire in certe aree francesi”.
“Aitala ci mette in guardia contro le grandi semplificazioni. Sia interpretative che operative. L’idea che nelle nostre democrazie la risposta repressiva, pur necessaria, non fosse che per testimoniare della presenza dello Stato, possa da sola stroncare il terrorismo, non funziona. Può anzi rivelarsi controproducente” scrive Lucio Caracciolo nella prefazione. Di sicuro sarà importante conoscere il mondo e l’auspicio di Paola Severino, rettore della Luiss, è stato proprio questo: “Aiutare a costruire un mondo di pace è un compito anche delle università”.