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Chi è Alex Fak, l’analista russo licenziato perché ha criticato Gazprom

Il sito specialistico Intellinews racconta una storia arrivata velocemente anche su testate più prestigiose (Financial Times e Wall Street Journal, per esempio): Alex Fak, analista della più importante banca russa, la statalizzata Sberbank, è stato licenziato per un report troppo schietto nei confronti di Gazprom, il gigante dell’energia di cui Fak seguiva l’andamento e ne faceva previsioni.

La sua trasgressione? Sembra che abbia scritto esattamente quello in cui crede (e non solo lui): Fak ha avuto l’ardire di mettere nero su bianco che circa 93 miliardi di dollari in progetti di gasdotti sarebbero più vantaggiosi per gli appaltatori legati al Cremlino che per gli azionisti di Gazprom.

Da tempo, in effetti, gli azionisti temono che l’obiettivo di Gazprom non sia massimizzare i profitti per sé o per loro. La società, diretta da Alexei Miller (salario da quasi trenta milioni all’anno, uomo dell’intima cerchia putiniana che viene da San Pietroburgo, messo sotto sanzioni americane ad aprile per responsabilità sulla crisi ucraina), sembra più che altro utilizzata dal Cremlino per scopi geopolitici; le pipeline costruite sono progetti costosi, a volte quasi non vantaggiosi, ma sono vincoli fisici con cui la Russia si lega ad altri stati.

Una forma di “penetrazione” la definiscono, per esempio, gli uomini del dipartimento di Stato americano, nel caso del progetto Nord Stream 2, quello con cui Mosca intende raddoppiare i flussi di gas verso l’Europa, passando dalla rotta settentrionale e tagliando fuori l’Ucraina (con quel che di geopolitico consegue).

Il report di Fak suggerisce anche un’altra lettura: le decisioni di Gazprom sono perfettamente logiche se si assume che sia gestita, soprattutto, a beneficio degli appaltatori che costruiscono tali gasdotti. Si parla dei tre grandi progetti che stanno partendo, la pipeline da 55,4 miliardi di dollari che dalla Siberia andrà in Cina, il Nord Stream 2 da 21 miliardi in Germania, appunto, e il progetto turco da 17 miliardi di dollari: per l’analista non sono nemmeno vicini alla creazione di utile per Gazprom.

Tuttavia, saranno certamente redditizi, spiega il report, per i due principali appaltatori di Gazprom: Stroytransgaz, controllato da Gennady Timchenko e Strojgazmontazh di Arkady Rotenberg. Entrambi sono stati messi sotto sanzioni dagli Stati Uniti nel 2014 come “membri del circolo ristretto” vicino al presidente russo Vladimir Putin.

Il problema è noto da tempo: Gazprom è un gigante con i piedi di argilla, lavora tra le più grandi riserve del mondo, ma ha una capitalizzazione di mercato molto bassa, intorno ai 55 miliardi di dollari, perché è mal sfruttata, o meglio (dice il report) è sfruttata non per produrre profitto direttamente, ma per altri scopi. Il confronto lampante è con la Saudi Aramco: la saudita estrae petrolio – bene più costoso del gas ma meno futuribile – per un valore quantitativo e di mercato paragonabile a quello di Gazprom, ma, come ha spiegato al FT Chris Weafer della Macro-Advisory, una società di consulenza con base a Mosca, il confronto sul valore è “imbarazzante”.

Alla fine il report di Fak è passato sotto un commento severo – dati non verificati e non confermati” e “poco professionale” – sebbene l’analista sia considerato tra i migliori al mondo dal prestigioso premio Extel Pan-Europe Survey 2016, primo per il settore “Oil and gas”. Addirittura Timchenko ha fatto sapere di aver ricevuto le scuse formali dal presidente di Sberbank.

Fak già l’anno scorso aveva rischiato grosso, pubblicando un altro report in cui contestava le attività personali con cui l’oligarca amico di Putin che comanda la petrolifera statale Rosneft, Igor Sechin, si stava costruendo un impero: il titolo dell’analisi era “Dobbiamo parlare di Igor”, una volta uscita la Sberbank l’ha rapidamente ritirata e ripubblicata con molte sezioni tagliate.

“L’intera faccenda è sconvolgente. In primo luogo, rischia di incoraggiare l’autocensura tra gli analisti degli investimenti russi. Quando le sanzioni statunitensi e comunitarie sono già un disincentivo, qualsiasi sospetto tra gli investitori che gli analisti di Mosca stiano pulling their punches (nella boxe significare colpire meno forte di quanto si potrebbe, ndr) è un altro aspetto negativo”.

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