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L’Euro: perché non può che essere (considerato) irreversibile

Nei giorni scorsi Lega e M5S, mentre in Italia erano alle prese con il veto di Mattarella su Savona al Ministero dell’Economia, hanno votato al Parlamento Europeo un emendamento al Multiannual Financial Framework per inserire una posta di bilancio a favore di paesi che intendano uscire dall’euro.

Vediamo di capire perché questa, al di là di tutto quello che si può pensare dell’euro (in bene e in male), è semplicemente un’idiozia. E perché il sospetto cresce ogni giorno più pesante che questi slogan siano: o solo l’ennesima dimostrazione di un populismo che coscientemente intende gabbare gli italiani, o una pericolosissima manovra autenticamente e convintamente portata avanti nell’ottica di far uscire l’Italia dall’euro. Nel primo caso, fumo negli occhi agli elettori giallo-neri; nell’altro, pericolosi attori della destabilizzazione economica, sociale e politica del paese.

Quando una moneta è considerata irreversibile, nessuno si azzarda a speculare contro di essa. La speculazione non avrebbe mai attaccato il debito pubblico greco, se non fosse emersa l’ipotesi di spingere il paese fuori dall’euro (facendo quindi aumentare il premio di rischio preteso per acquistare i suoi titoli di Stato, il famoso spread, visto che se usciva dall’euro avrebbero subito un forte deprezzamento). Sia chiaro, non avrebbe mai attaccato nemmeno se vi fossero stati meccanismi fiscali di riequilibrio (come succede ad esempio negli Usa) dove il governo federale s’indebita sul mercato per indirizzare gli investimenti laddove la crisi colpisce più duramente.

Ma non avendo noi in Europa un governo federale, dotato di un adeguato bilancio sovranazionale, ed avendo una Banca Centrale  vincolata per statuto (deciso all’unanimità dal Consiglio Europeo, cioè dai governi, che deliberano con diritto di veto) a non poter acquistare le obbligazioni emesse dal paese membro sotto attacco, la speculazione si è potuta abbattere sui titoli di Stato greci, aumentando a dismisura il costo del servizio del debito (gli interessi) e forzando il governo greco alle misure di austerità che conosciamo.

Colpa dell’euro e della Bce? No! Colpa della governance dell’area euro affidata unicamente a regole vincolanti e non a sistemi discrezionali di scelta politica collettiva, al voto all’unanimità (che impedisce di essere efficaci e rispondere con reattività ai segnali avversi dei mercati) invece che al voto a maggioranza, alla mancanza di un bilancio sovranazionale per rilanciare gli investimenti, ad una Bce che solo grazie all’iniziativa politica di Draghi è potuta intervenire sul mercato con azioni ‘non convenzionali’ (cioè con un’interpretazione estensiva dello statuto).

Se nel luglio 2012 Draghi, forte di un informale via libera da parte del Consiglio Europeo, non avesse pronunciato quella famosa e perentoria frase (“We shall do whatever it takes to save the euro. And believe me, it will be enough”), la speculazione non si sarebbe fermata; anzi si sarebbe autorealizzata, ed avrebbe spinto la Grecia (e dopo di lei gli altri paesi con maggiori problemi economici, con un effetto domino dirompente) ad uscire dall’euro.

Perché quando un accordo, una istituzione, è ritenuta non sufficientemente credibile, la speculazione ha buon gioco ad attaccarla.

Se diciamo che l’Italia (o qualsiasi altro paese) può uscire dall’euro, la speculazione si abbatterà immediatamente sui suoi titoli obbligazionari, chiedendo un premio di rischio per l’ipotesi che esca; in questo modo il paese dovrà pagare interessi sempre più alti e, se vorrà a quel punto evitare di sottostare a condizionamenti di austerità, sarà costretto ad uscire dall’euro. Sfortunatamente, nei mercati finanziari, le profezie tendono ad auto-avverarsi. Per questo i padri fondatori dell’euro non avevano previsto alcuna clausola di uscita dalla moneta unica: perché prevederla avrebbe significato condannarla a morte certa.

Magari qualcuno pensa che uscire dall’euro sia una buona idea. Ho appena pubblicato un libro divulgativo su questo argomento per spiegare che il problema non è l’euro, ma la sua governance debole ed intergovernativa, e ad esso quindi rimando (http://www.giubileiregnani.com/libri/riformre-leuro/) per le varie argomentazioni.

In ogni caso, immaginare formalmente un percorso che consenta (e magari agevoli) l’uscita di un paese dall’euro significa  condannarlo all’effettiva uscita dalla moneta unica; con fughe di capitali, aumento del costo delle importazioni e del paniere di consumo medio (quindi diminuzione del potere d’acquisto), impoverimento dei percettori di redditi fissi, tensioni sociali ed economiche; e tante altre conseguenze poco simpatiche.

Verrebbe la tentazione di dire: ‘provare per credere’. Ma spero che il nostro nuovo governo non sia così folle da voler davvero avventurarsi su quella strada. In fondo sono ottimista; penso che stiano semplicemente ingannando gli italiani sulle loro reali intenzioni. O che intendano arricchirsi speculando contro il nostro debito pubblico…



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