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Aquarius e i doveri di condivisione umanitaria

Aquarius Salvini

L’Italia, dopo mesi di incertezze, si trova adesso ad avere una solida stabilità politica. Questo fatto è stato confermato anche dalle elezioni amministrative di questo fine settimana, che hanno visto il convalidarsi un po’ ovunque di una tendenza elettorale positiva per tutto il Centrodestra e in modo speciale per la Lega.

Dal punto di vista del Governo adesso è nondimeno il momento della verità, della concretezza. Il grande scoglio è costituito proprio dal primo punto programmatico della maggioranza, vale a dire la struggente gestione restrittiva degli sbarchi.

Il fatto specifico è stato l’arrivo della nave Aquarius con 629 migranti a bordo, proprio al confine tra le coste italiane e quelle maltesi, a cui si sta già accodando la nave Sea Watch 3, di Ong tedesca e battente bandiera olandese. Pur essendo l’Aquarius ad un’inferiore distanza dalle sue, il Governo maltese si è reso indisponibile ad accogliere il pieno umano, scaricandolo, al solito, sulle spalle della “stupida Italia”.

La cosa illogica è che tutto il mondo dia per scontato il presupposto neanche più in discussione che la nostra sia la nazione destinata necessariamente ad accogliere i profughi di tutto il Mediterraneo. In tal senso, il secco No del ministro degli interni Matteo Salvini è ampiamente condivisibile, semplicemente perché è giusto ribellarsi a questa pessima consuetudine miope ed immorale; ed è giusto per lui rifiutarsi sia per ragioni di politica interna, essendo egli il segretario di un partito che continua a mietere democraticamente consensi su questa finalità, e sia per ragioni di politica internazionale, perché è totalmente assurdo che il nostro Paese sia l’unico che si assume da anni una straordinaria responsabilità umanitaria, in un contesto, tra l’altro, di indifferenza e di egoismo generale di tutta l’Europa.

L’affermazione da parte delle autorità maltesi che il loro Paese non abbia autorità competente in questa circostanza sono da respingere al mittente con disdegno e disappunto. Qui la posta in gioco, infatti, non è stabilire chi abbia il dovere di ricevere gli sbarchi, ma evitare che tale onere cada sempre e soltanto su di noi come un comodo dato di fatto.

Atteggiamenti buonisti sono diventati adesso, d’altronde, non soltanto politicamente intollerabili, ma in grado di minare la base stessa delle competenze limitate e precise che una politica nazionale può gestire. Non spetta alla politica italiana risolvere, per l’appunto, una questione globale e strutturale del mondo come quella delle emergenze umanitarie. E non è giusto che l’inconsistente politica africana dell’Unione Europea lasci da pagare il conto unicamente al nostro povero Paese.

I cittadini italiani non vogliono più accogliere in modo indiscriminato. Sarà grave, sarà brutto, ma è così. Prima gli altri ne prendono atto, meglio è per tutti.

Alla politica di uno Stato, in senso generale, non è affidato il compito di risolvere tutto, e tanto meno quello di sostituirsi ai doveri generali delle istituzioni internazionali. La natura di un popolo è circoscritta, e in quanto limitata è causa, principio e fine democratico di una sovranità politica nazionale.

Fare fronte nel particolare ad una faccenda generale è l’assurdo delle nostre passate politiche di apertura che adesso esigono una svolta complessiva che riordini il tutto a partire dal tutto, e la parte a partire dalla parte.

Non foss’altro che per questo è meritorio che il governo Conte abbia coraggiosamente stabilito di essere coerente con una delle sue priorità che sono la ratio costitutiva del contratto giallo-verde. Ed è ancora più sacrosanto che a tener fede all’impegno sia un politico che è leader di una coalizione di Centrodestra che condivide all’unisono la prospettiva di mettere l’interesse nazionale avanti a tutto il resto, evitando di trasformare l’intero Paese in un campo profughi.

Sarà pesante cambiare una mentalità ormai data per scontata da tutti, ma adesso è veramente il momento di dire basta ad una logica che fa dell’Italia il catino dove si riversa l’acqua sporca di tutto il pianeta.

Cambiare l’Europa vuol dire costringere talvolta con durezza, chi gli va bene così che così non va bene per niente.

Anche perché conviene sperare, in questo frangente, che chi l’ha dura la vinca. L’alternativa, infatti, è che a perdere sarà l’intero Occidente, a cominciare dall’efficacia dei sistemi democratici europei e dei valori umani occidentali, logorati da un multiculturalismo selvaggio e dalla completa accettazione passiva di essere ormai marginali nella debolezza e nel lassismo, dato che i diritti internazionali del popolo italiano sono sempre gli ultimi a valere.


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