Da un lato gli sforzi prismatici compiuti, in questo semestre, per contribuire alla stabilizzazione istituzionale, con il vertice per la Libia promosso lo scorso anno in Sicilia dall’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano e quello più recente concretizzatosi in Francia per volontà del Presidente Emmanuel Macron.
Dall’altro le tensioni locali tra Haftar e Jadran, che sono lontane da una narcotizzazione, come dimostra la partita tutt’altro che risolta relativa alle raffinerie petrolifere. Nel mezzo gli occhi della comunità internazionale e delle imprese desiderose di tornare nel Paese quanto prima.
ACCUSE
Petroleum Facilities, comandata da Ibrahim Jadran, accusa i militari agli ordini del generale Haftar di aver attaccato i lavoratori con mortai e bombe a grappoli, aggiungendo che gli aerei di Haftar hanno effettuato vari raid nonostante le promesse dal presidente della National oil corporation (Noc) Mustafa Sanallah di proteggere i lavoratori con una no-fly zone. Un simile attacco sarebbe avvenuto anche nel campo della compagnia Harouge. Lunedì scorso, intervistato da una tv locale, Sanallah ha detto che se tali serbatoi fossero distrutti, allora il terminale di Ras Lanuf non sarebbe più operativo: un problema per i delicatissimi equilibri interni della Libia.
Il nodo si sta sempre più attorcigliando non tanto intorno alla convivenza delle tribù con i nuovi organigrammi che si preparano alle elezioni anticipate del prossimo inverno, quanto al casus belli di sempre: il petrolio. Il rappresentante della Libia presso l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec), Mohamed Aoun, ha detto ufficialmente che la Libia non si opporrà ad un graduale ritorno ai precedenti livelli di produzione prima dell’accordo Opec per tagliare la produzione finché la quota libica resti identica.
Secondo alcuni rumors pare che la Libia non abbia in mente al momento di tornare ai suoi precedenti livelli di produzione prima del 2011, nella consapevolezza che ciò non dovrebbe in prospettiva pregiudicare l’attuale panorama dei prezzi. Ma è altrettanto vero che gli ultimi eventi che gravitano attorno alla mezzaluna petrolifera è certo che potrebbero influenzare negativamente le esportazioni. Tra l’altro, in un quadro complessivo di ulteriore instabilità, provocata da attacchi o raid, appare evidente come nuovi players internazionali non potrebbero affacciarsi nel quadrante libico.
SCENARI
Sino ad oggi gli scontri e le tensioni in quel settore hanno fruttato numeri desolanti, ovvero perdite di oltre 400mila barili al giorno, l’interruzione delle esportazioni, svariati danni alle infrastrutture e crollo miliardario delle opportunità di vendite non andata a buon fine. Le rilevazioni della National oil corporation vanno in questa direzione anche per impedire che ulteriori ritardi sociali, politici e geopolitici possano inficiare i passi in avanti compiuti in questo 2018.
Tra l’altro il gruppo che fa capo a Jadran altro non è che una sparuta banda con pochi mezzi in grado di condurre azioni nel deserto, ragion per cui in prospettiva sarà complesso da un punto di vista logistico mantenere la presa sui due terminali in questione che tra l’altro potrebbero doversi difendere anche dal lato del mare. Inoltre molti pompieri al soldo della Noc si sono volatilizzati.
È GIÀ DOMANI
In prospettiva prende quota l’espulsione di Jadran e delle sue forze dalle aree in questione, ma al momento è la loro strategia “da vietcong” che la fa da padrone, con mini attacchi mirati da parte delle suddette bande contro la principale “linea” di vita del Paese. È chiaro che al momento il governo di Accordo Nazionale a Tripoli altro non può fare che effettuare dichiarazioni di condanna sugli episodi, ma è altrettanto vero che tale condotta non aiuterà a riconquistare i terminali petroliferi, né sostenere Noc a riprendere il ciclo relativo alle esportazioni di petrolio.
Sul punto ecco anche la dichiarazione di neutralità del Partito della Giustizia e della Costruzione (Jcp) legato alla Fratellanza Musulmana della Libia che non appoggerà né Khalifa Haftar né Ibrahim Jadhran attualmente in lotta nella mezzaluna petrolifera.
In una dichiarazione pubblicata sulla pagina Facebook ufficiale del partito, il leader del Jcp Mohamed Sawan ha chiesto al governo di unità libico di Tripoli di contenere il conflitto sulla regione ricca di petrolio, anche se ciò significherebbe chiedere un intervento straniero: “Dobbiamo mettere al primo posto gli interessi della nazione. La nostra posizione non richiede chiarimenti; non saremo messi in una situazione in cui dobbiamo scegliere tra uno dei due. L’unica soluzione per questa difficile impasse è un accordo politico fattibile”.
Il “cappello” protettivo potrebbe, quindi, venire fuori dalle elezioni del prossimo dicembre, a cui la comunità internazionale sta guardando con estrema attenzione.
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