L’anno scorso in Europa sono stati registrati 33 attentati jihadisti comprendendo quelli riusciti, falliti o sventati (nel 2016 erano stati 13) e in 10 di essi sono state uccise 62 persone che diventano 68 se si considerano anche gli attentati di matrice indipendentista o di altra natura. Sono stati invece 705 gli arresti di jihadisti. Il rapporto annuale dell’Europol per il 2017 sul terrorismo fornisce alcune chiavi di lettura e conferma quello che gli investigatori di vari Paesi, a cominciare dagli italiani, sostengono da tempo: la minaccia in Europa rimane alta nonostante la sconfitta militare dell’Isis in Siria e in Iraq. Il record di arresti di terroristi jihadisti spetta alla Francia con 373, seguita dalla Spagna con 78 e da Germania, Belgio e Austria rispettivamente con 52, 50 e 46. In Italia ne sono stati arrestati 26 ai quali vanno aggiunti 11 estremisti di sinistra (anarco-insurrezionalisti) e 2 di estrema destra.
I FOREIGN FIGHTERS
L’Europol calcola in 5mila il numero di individui che da Paesi europei si sono diretti negli anni scorsi verso Iraq e Siria, ma alla fine del 2017 ne contava 2.500 ancora in quelle aree perché 1.000 sono morti e 1.500 sono tornati. Secondo le autorità ungheresi, tra il 2014 e il 2016 un migliaio di combattenti è partito dai Balcani e si prevede che un certo numero possa tornare indietro grazie a organizzazioni criminali che gestiscono l’immigrazione irregolare. E’ vero che i combattenti trovano difficoltà nell’invertire la rotta, ma se è accertato che in parecchi casi si stanno dirigendo verso altre aree di crisi come Afghanistan, Medio Oriente, Africa settentrionale e occidentale, Asia meridionale e sud-orientale, l’ipotesi di rientro aumenta il rischio di “attentati spettacolari” in Europa nel medio-lungo periodo.
IL PERICOLO IN CASA
L’analisi dei Paesi europei coincide nel ritenere quei combattenti come persone esperte e perfino “disumanizzate”. Rappresentano un modello e possono reclutare e radicalizzare altri soggetti, per esempio in prigione. I belgi, infatti, hanno registrato solo 5 “returnees” e considerano i terroristi fatti in casa, gli home-grown, la vera minaccia. Più l’Isis si indebolisce nei teatri di guerra, più sollecita i simpatizzanti ad attaccare e diversi recenti attentati sono stati opera di “lupi solitari”. A questo proposito, il report dell’Europol sottolinea la diversa filosofia di al Qaeda e dell’Isis. L’obiettivo comune sono i civili occidentali, ma al Qaeda nella sua propaganda cerca di spiegare la necessità dell’attacco come una naturale reazione alle ingiustizie sofferte dai musulmani. L’ha fatto l’anno scorso con un discorso di Qasim al Raymi, leader di Aqap (al Qaeda nella Penisola arabica) e con un articolo su Inspire. L’Isis, invece, considera più efficace, se non cruciale, basarsi sullo scontro finale tra il bene e il male. Non va dimenticato, poi, che più volte l’Isis ha rivendicato l’attentato di un lupo solitario, definito un soldato, anche se le indagini non hanno individuato collegamenti diretti con gruppi jihadisti.
GLI ULTIMI CASI E LA MINACCIA BIOLOGICA
Gli ultimi eventi di quest’anno, non compresi nel report, confermano la tendenza: a marzo l’attacco a un supermercato di Trébes, in Francia, con 5 morti; a maggio i 3 morti di cui 2 poliziotte a Liegi e sempre a maggio il morto e i 4 feriti a Parigi. Pochi giorni fa a Berlino, invece, è stato fermato un tunisino che aveva intenzione di costruire una bomba biologica producendo ricina: aveva seguito le istruzioni online.
I SOCIAL MEDIA E GLI ATTACCHI CIBERNETICI
La propaganda online è parte essenziale della tattica terrorista e i mezzi sono di vario tipo: la newsletter settimanale al Naba’ che sulla prima pagina ricorda di essere edita dal “ministero dei Media” dell’Isis, l’agenzia Amaq, l’al Hayat Media Centre, l’al Furqan Media Production Company e altro ancora. Fin dal 2016, inoltre, molti simpatizzanti hanno abbandonato Facebook e Twitter per spostarsi su Telegram considerato più sicuro e l’anno scorso hanno creato chat private su questo social per rendersi ancor meno rintracciabili.
Gli investigatori hanno individuato finora oltre 150 piattaforme di social media utilizzate per la propaganda jihadista e nella parte più nascosta del web, il Darknet, sono state individuate campagne di raccolta fondi. Anche se per il momento sono considerate basse le probabilità di un attacco cyber, c’è l’Islamic State Hacking Division, meglio nota come l’unità cyber del Califfato, che comprende il Caaliphate Cyber Army, l’Islamic Cyber Army, il Sons of the Caliphate Army e l’ultimo arrivato, l’Electronic Ghosts of the Caliphate: per il futuro è meglio essere preparati.