La Turchia va alle urne e Recep Tayyip Erdogan si gioca il tutto e per tutto. Ma la strada appare più in salita del solito, proprio questa volta che il Presidente della Repubblica ha bisogno di vincere subito. Il Reis, in questa breve campagna elettorale è apparso stanco e provato, complice anche la concomitanza del Ramadan, il mese sacro del digiuno musulmano, che ha reso la sua effettuazione ancora più faticosa.
Erdogan, poi, non ha potuto contare come le altre volte di quello che è sempre stato il suo fiore all’occhiello, ossia la crescita economica. Il pil continua a dare segnali fin troppo positivi, quasi troppo belli per essere veri. Ma finanziariamente il Paese ha problemi notevoli con una lira turca svalutata da mesi su euro e su dollaro, dati sugli insoluti delle carte di credito che fanno preoccupare e banche che sono state costrette a ridurre in modo drastico l’erogazione di crediti e prestiti. Non gli è rimasto altro che sottolineare come in pochi anni abbia cambiato il volto del Paese a suon di infrastrutture e investimenti e prendersela con l’Occidente e con Israele, certo che ormai, su questi argomenti, buona parte della popolazione la pensa come lui.
Dall’altra parte, c’è un’opposizione ancora molto divisa, ma molto agguerrita, perché l’election day di domenica, con il rinnovo del parlamento e l’elezione del nuovo Capo dello Stato, potrebbe essere l’ultima occasione buona per indebolire Erdogan con le urne.
Muharrem Ince, il candidato dei laici e repubblicani, che pure viene da un background molto conservatore, si è rivelato la migliore delle scelte possibili e se si conta che è venuto fuori quasi dal nulla ed è partito in sordina, con il consenso che ha raccolto in poche settimane ormai viene considerato il deus ex machina, quasi la salvezza, della Turchia. Anche se, forse, varrebbe la pena di metterlo prima alla prova. Di certo ha dimostrato una buona empatia e gran carisma. Da qui a saper governare, però, ce ne vuole. Meral Aksener, che ha fondato il suo Iyi Parti appena sei mesi fa e che è la prima candidata donna alla presidenza della repubblica, conta molto sul voto dei nazionalisti di marca laica che non amano l’alleanza del suo ex partito, il Mhp, con Erdogan.
Ci sono poi i curdi, che hanno sfidato la sorte e l’impossibile, candidando il loro leader Selahattin Demirtas, anche se ormai è in carcere da quasi due anni. Gesto di grande impatto simbolico e che dovrebbe fargli ottenere un consenso sufficiente per infastidire il presidente. Soprattutto a livello parlamentare, dove l’ingresso del partito curdo scombinerebbe i piani e i calcoli delle due coalizioni, altra grande novità di queste elezioni, dove i programmi sono decisamente spostati a destra e di riforme se ne vedono poche, ma dove fra gli islamo-nazionalisti di Erdogan e Bahceli e i repubblicano-conservatori di Kilicdaroglu e Aksener, la situazione è talmente disperata che i secondi appaiono quasi come un’alternativa accettabile. Almeno per chi spera che la Turchia abbia ancora una speranza.
Quanto scritto sopra si intende in condizioni normali. E purtroppo la Mezzaluna non è più un Paese normale da tempo. Le voci di possibilità di brogli di ogni tipo si rincorrono da tempo. Erdogan ha in mano polizia e servizi segreti da anni. Con lo Stato di emergenza e la nuova legge sulla sicurezza ai seggi, tentare di manipolare il risultato potrebbe essere una tentazione forte, se non altro per la facile praticabilità. Questo rende la situazione ancora meno serena. Cosa di cui proprio non si sentiva il bisogno