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L’Europa e quella globalizzazione che l’ha colta impreparata. L’analisi di Giulio Tremonti

Europa

L’Europa. Il Vecchio Continente, la patria delle grandi rivoluzioni liberali e industriali ma anche un mercato unico da mezzo miliardo di individui, più grande al mondo. Eppure così fragile, così insicura in un mondo sempre più bipolare, dove al posto dell’Unione Sovietica c’è la Cina, ma poco importa. Il Mundus furiosus è la definizione dell’Europa dopo la scoperta delle Americhe ma Mundus furiosus è anche l’Europa d’oggi: sempre più grande ma sempre più vuota, confinata ai margini della grande storia.

E, ancora, Mundus furiosus è l’ultimo saggio dell’ex ministro (governo Berlusconi) e oggi presidente dell’Aspen Giulio Tremonti  uscito con Mondadori due anni fa e ieri sera ripresentato presso la Club House Barberini insieme al giornalista Mario Sechi. La verità è che venti anni fa era un altro mondo: non c’era internet, il potere mondiale era nelle mani del G7, i computer stavano sulle scrivania. Ma soprattutto c’era speranza, in futuro che sì è arrivato, ma in forma e sostanza molto diverso. Si è realizzata una globalizzazione molto diversa da quella immaginata, secondo tre importanti fattori: migrazioni di massa, rivoluzione digitale e degenerazione della finanza. E poi è arrivata la Brexit.

“Questo libro riprende un titolo di un libro pubblicato nel 500 che affronta il tema della prima globalizzazione che l’Europa abbia conosciuto: la scoperta dell’America e l’allargamento degli spazi atlantici”, ha premesso Tremonti. “Oggi siamo nella seconda globalizzazione e riflettendo su quello che è successo, possiamo dire che oggi siamo dinnanzi a un nuovo mundus furiosus. Per tutti questi anni abbiamo avuto l’impressione che la globalizzazione rappresentasse un’età d’oro dell’umanità, tutto pacifico e lineare. Invece no, con la crisi, prima finanziaria, poi economica e infine politica è cambiato tutto e la storia è tornata a caricarci di interessi”.

Per l’ex ministro insomma, la globalizzazione sognata e immaginata, quasi deificata alla fine si è dimostrata essere qualcosa di molto diverso. “Nella globalizzazione si è venuto a creare una specie di blocco. Certamente non poteva essere fermata, era la fine del comunismo. Ma poteva essere fatta in modo più lento, senza correre”. Ma quale a questo punto, la previsione di Tremonti per un’Europa che ha gestito male il fenomeno globale?

“Ci sono dei fenomeni con cui dovremo convivere. Innanzitutto le migrazioni, che fanno parte della nostra storia ma anche del nostro futuro. Secondo, la degenerazione della finanza, fenomeno secondo me non ancora terminato. Terzo la rivoluzione digitale, che non è solo una trasformazione che riguarda il lavoro ma qualcosa che riguarda la forma mentis, il linguaggio dei tweet e anche la forma fisica”.

Ancora, dice Tremonti, “la crisi della stessa Europa: da dove ha origine? Dall’allargamento agli altri Paesi. E che cosa è successo? Abbiamo perso la Gran Bretagna e ora si vuole far entrare sei Paesi balcanici. Ma anche la stessa globalizzazione, che è entrata in Europa e l’ha trovata impreparata. Perché non si può competere in un Paese dove non ci sono regole”. E l’Europa non le aveva.

 

 

 


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