Se ne parla per un giorno quando ci sono degli arresti, poi tutto torna sotto traccia perché le indagini continuano: nelle ultime settimane sono di nuovo aumentate le espulsioni e stanno emergendo elementi sempre più concreti sull’infiltrazione di potenziali terroristi tra gli immigrati, in particolare tra i richiedenti asilo.
INFILTRATI TRA GLI IMMIGRATI
La prova che gli elementi più radicalizzati si nascondono tra la folla degli stranieri è arrivata con l’inchiesta della procura di Napoli che il 25 giugno ha reso noto l’arresto del gambiano Sillah Osman, 34 anni, grazie alle indagini del Ros dei Carabinieri e della Digos con la Direzione centrale della Polizia di prevenzione. Osman è un richiedente asilo, ha vissuto al Cara di Bari ed è poi passato al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) di Lecce. Il gambiano, che secondo gli inquirenti stava progettando un attentato in Francia o in Spagna, era in contatto con il connazionale Alagie Touray arrestato il 20 aprile: entrambi erano stati addestrati in un campo militare in Libia. Touray era stato arrestato in un albergo di Napoli trasformato in centro di accoglienza e le indagini stanno proseguendo proprio all’interno dei Cara (i centri di accoglienza per richiedenti asilo) e tra le richieste di asilo presentate. A conferma di certi collegamenti, quando Touray fu arrestato la newsletter dell’Isis, al Naba, lo celebrò come un “soldato di Allah”.
A titolo di curiosità, Touray durante un interrogatorio ha spiegato che nei territori occupati dall’Isis si potevano usare i cellulari purché non fossero iPhone: gli apparecchi della Apple sono difficilmente decrittabili dagli investigatori anche se due anni fa, dopo l’attentato di San Bernardino, l’Fbi ci riuscì nonostante l’opposizione dell’azienda. La prudenza dell’Isis forse nasconde il timore che la Apple possa in realtà aiutare gli investigatori.
L’attenzione su chi arriva sui barconi resta naturalmente altissima. L’anno scorso, per esempio, un gruppo di salafiti era partito dalle coste della Tunisia per raggiungere l’Europa e uno di loro, 32 anni, era stato segnalato perché ricercato nel suo Paese per associazione terroristica. Fermato, aveva cercato di organizzare un’evasione di massa (sventata) dal Centro permanente per i rimpatri di Brindisi. E’ stato espulso all’inizio di giugno.
CONTATTI CON ANIS AMRI
Finora nel mese di giugno sono stati espulsi 11 soggetti, quasi tutti tunisini e marocchini, per un totale di 59 espulsioni nel 2018 e 296 dal gennaio 2015 (dati al 27 giugno). Tre di loro, direttamente o attraverso altre persone, sono stati in contatto con Anis Amri, l’attentatore di Berlino ucciso dalla Polizia a Sesto San Giovanni: un tunisino trentenne era stato già espulso nel 2016 ed è stato rintracciato e arrestato a Latina nella cui provincia aveva risieduto in passato; sempre a Latina è stato fermato un tunisino di 36 anni con tre profili Facebook attraverso i quali gli investigatori sono risaliti a personaggi vicini sia ad Amri che ad Ahmed Hanachi, che nell’ottobre scorso uccise due ragazze ventenni a Marsiglia e che aveva abitato ad Aprilia come Amri; un marocchino di 28 anni nato a Tunisi, invece, durante la detenzione per reati comuni nel carcere di Sollicciano (Firenze) era stato monitorato proprio per aver conosciuto Amri in un altro carcere.
IL RADICALISMO NELLE CARCERI
L’attenzione della Polizia penitenziaria è fondamentale e fornisce elementi importanti nelle riunioni del Casa (il Comitato di analisi strategica antiterrorismo). Un egiziano di 32 anni, per esempio, è stato espulso dopo aver scontato una pena per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e in cella era diventato il leader di un gruppo di detenuti che cercavano proseliti divulgando i principi dell’Islam radicale. Un tunisino di 42 anni, invece, pur detenuto a Sanremo per reati comuni, era inserito nel più alto livello di monitoraggio e trovato in possesso di materiale che inneggia alla supremazia dell’Islam oltre a un disegno con la bandiera dell’Isis. Problemi li avevano creati anche due marocchini.
Si sa che un’inchiesta porta quasi sempre ad altri risultati. Nel marzo scorso la Polizia smantellò la rete di Amri a Latina con cinque arresti e una ventina di indagati. “Se Amri era il cancro, a Latina c’erano le metastasi” commentò un investigatore. Magari con le espulsioni, ma la pulizia continua.